A metà novembre le ultime tre partite di qualificazione a Euro 24. Critiche per le scelte di Yakin, così come per le prestazioni di troppi senatori
Tra un mese sapremo di che pasta è fatta la Svizzera di Murat Yakin. Sapremo se la Nati viaggerà alla volta della Germania per il suo sesto Europeo nelle ultime otto edizioni. Nemmeno i più pessimisti, probabilmente, avrebbero pensato di ritrovarsi, a tre partite dal termine della fase preliminare, a dover pesare i punti come uno speziale pesa gli ingredienti delle sue medicine. Quello toccato in sorte alla selezione elvetica era un girone da dieci vittorie, contro avversari che nel ranking internazionale faticano a intravedere davanti a loro la maglia rossocrociata. E invece, a metà ottobre ci ritroviamo a fare calcoli ai quali non avremmo mai pensato: “Se noi vinciamo lì…”, “se loro perdono là…”. La qualificazione, anche dopo le ultime scialbe prestazioni – su tutte quella di domenica sera a San Gallo contro la Bielorussia – al momento non è compromessa, tuttavia la Svizzera è stata superata in classifica dalla Romania (per quanto con una partita in più): gli ultimi tre impegni, però, sono tosti, con Israele in trasferta (sempre che si giochi e, comunque, in campo neutro), Kosovo in casa (ma è illusorio pensare a un St. Jakob tutto votato alla causa rossocrociata), per chiudere in Romania, dove già una volta (13 novembre 1991) il calcio elvetico aveva visto frustrato il suo sogno di prendere parte a un Europeo (quello del 1992).
In questa seconda metà di 2023, la Svizzera si è persa: due successi contro Andorra (uno stiracchiato, l’altro poco convincente) e tre pareggi con Romania, Kosovo e Bielorussia. E se da un lato sembra aver trovato due attaccanti destinati a scrivere un brillante futuro in rossocrociato (Ndoye e, soprattutto, Amdouni con 6 reti in 7 partite), dall’altro ha completamente perso quel rigore difensivo che nell’era Petkovic e nelle prime uscite con Yakin al timone era stato alla base di tanti successi. Domenica, la prestazione di tutto il reparto arretrato è stata quanto meno imbarazzante, con giocatori del calibro di Akanji (Manchester City), Schär (Newcastle) e Rodriguez (Torino) trattati a pesci in faccia da Max Ebong (Astana), Denis Polyakov (Hapoel Haifa) e Dimitri Antilevski (Bate Borisov). Se prendiamo a titolo di paragone le prime 27 partite della gestione Petkovic, la Svizzera aveva subito 0,96 reti a partita (26), contro l’1,22 incassate con Yakin (33). Nelle ultime cinque uscite, senza mai aver affrontato una compagine che la precede nel ranking, ha incassato otto reti. E nelle undici partite dai Mondiali in Qatar in avanti, soltanto in quattro occasioni ha messo a referto un “clean sheet”.
Murat Yakin ha le sue responsabilità, ma in correo vanno senza dubbio chiamati anche troppi senatori, convinti che, alla luce dell’indiscutibile superiorità tecnica, la situazione prima o poi non possa non volgere a loro favore. La teoria del massimo risultato con il minimo sforzo, tanto cara al calcio svizzero. Peccato che non sempre funzioni, come la storia si è più volte premurata di far notare. Triste a dirsi, ma sembra proprio che i calciatori di casa nostra, per rendere secondo il loro status abbiano per forza bisogno di un avversario di grido (un'Italia, un'Inghilterra, una Spagna...), una squadra sulla quale dover impostare la corsa e il cui valore li aiuti a rimanere sempre e comunque sul pezzo. L'Ufficio complicazione affari semplici, insomma, ci fa un baffo...
Il cittì rossocrociato ha un mese di tempo per capire come conciliare una fase difensiva in difficoltà con la vèrve dei suoi giovani attaccanti, perché a questo punto è impensabile che nei prossimi impegni possa ancora commettere l’imperdonabile errore di lasciare in panchina Amdouni e Ndoye. E, forse, non è nemmeno questo il compito più difficile da assolvere. Sì, perché in primo luogo occorre riprendere in mano uno spogliatoio che alle sue spalle non appare più graniticamente compatto. Le incomprensioni tra tecnico e capitano sono note da tempo, ma non sarebbero le uniche, stando alle indiscrezioni in uscita dallo spogliatoio. E alla luce del risultato, ma soprattutto della prestazione contro la Bielorussia, la decisione di concedere ai giocatori due giorni supplementari di libertà a seguito del rinvio della sfida in Israele, si configura quanto meno come mal ponderata. Due giorni di lavoro in più avrebbero forse potuto porre qualche pezza sulle magagne difensive evidenziate al Kybunpark.
Tra un mese, la fase di qualificazione andrà in archivio e la classifica del gruppo I rimane più che mai aperta. Addirittura, se Israele dovesse aggiudicarsi i due confronti (Svizzera e Kosovo) rinviati a causa della guerra, a parità di partite supererebbe gli elvetici. Ma non si può escludere che non vi siano i presupposti per far tornare in campo la selezione israeliana (al momento nessun cittadino di Tel Aviv è autorizzato a lasciare il Paese) e a quel punto l’Uefa si troverebbe davanti a un bel dilemma, in quanto la regolarità del girone sarebbe irrimediabilmente falsata. All’Asf non rimane che aspettare gli eventi e prepararsi come se il 15 novembre la sfida con Israele fosse già confermata. Analizzare la prestazione offerta con la Bielorussia sarà importante per capire come soccorrere una fase difensiva in apnea, ma anche un selezionatore che sembra aver perso la bussola. Con un girone di tale fatta, da Euro 2024 la Svizzera non può restare a casa…