Pablo Bentancur, patron di un Bellinzona affidato al quarto allenatore stagionale, ne ha per tutti: dai giocatori chiacchieroni ai tifosi organizzati
Sarà l’argentino Sergio Zanetti, ex giocatore granata quasi una ventina d’anni fa, il quarto allenatore ingaggiato dall’Acb nel corso di questa stagione. Cinquantacinque anni, fratello del celebre Javier bandiera interista, Zanetti ha lavorato a lungo e con buoni risultati nei settori giovanili di diverse squadre italiane fra cui Monza, Como, Livorno e la stessa Inter.
«Direttamente o indirettamente», ci dice Pablo Bentancur, «ci hanno chiamato almeno sei allenatori interessati a venire ad allenare il Bellinzona, fra cui anche Baldo Raineri e Stefano Maccoppi, entrambi dispostissimi a tornare sulla nostra panchina, e per questo li ringrazio pubblicamente. Altri non li abbiamo voluti perché pretendevano, in caso di salvezza, la conferma anche per il prossimo campionato. Ma noi mica stiamo retrocedendo, abbiamo un margine di punti in classifica che ci mette al sicuro. Non cercavo un allenatore che ci salvasse, ma che mettesse disciplina in uno spogliatoio di primedonne che ha già fatto fuori troppi allenatori».
Come siete giunti a Zanetti?
L’unico che abbiamo voluto incontrare, a parte Zanetti, è stato Arno Rossini, che è un vero signore, un personaggio importante e un grande tifoso del Bellinzona. Se poi non l’abbiamo preso è solo perché non volevamo bruciare una persona come lui in questo momento particolare, rendendolo vittima di uno spogliatoio allo sbando. Serviva, da qui alla fine della stagione, un sergente di ferro, un tecnico dai grandi attributi, e così abbiamo fatto un’altra scelta. Comunque ho proposto a Rossini di collaborare con noi nel settore tecnico, anche nel futuro magari, data la sua grande esperienza e bravura. Sono stati due o tre giocatori a chiedermi direttamente che in panchina ci andasse qualcuno con la mano pesante: anche a loro pareva l’unica soluzione possibile, a questo punto.
Ancor prima che potessi metterti a lavorare, parte della piazza e della critica hanno cominciato a dire che Bentancur non andava bene per questa piazza: hai sentito del pregiudizio nei tuoi confronti?
Un po’. Noi abbiamo raccolto una squadra dilettante al 100% e che nemmeno aveva mai fatto richiesta di licenza per giocare nelle serie maggiori. In tre anni noi le abbiamo dato stabilità economica e abbiamo cambiato le regole: quando siamo arrivati, i giocatori si fermavano a bere birra al Bar Granata coi tifosi, una cosa inaccettabile nel calcio professionistico. E questo è stato il nostro primo problema coi Boys, i tifosi organizzati del Bellinzona. Abbiamo poi vinto un campionato, riportando Bellinzona dopo tanti anni al calcio professionale, mettendoci parecchi soldi e creando una squadra importante per la Challenge League.
Infatti i risultati, fino a un certo punto della stagione, sono stati abbastanza positivi. Secondo alcuni però, appena le cose si sono messe male, è come se qualcuno ne provasse soddisfazione perché aveva finalmente un pretesto per parlare male del ‘Clan Bentancur’.
Sì, ma non credo sia la maggior parte delle persone a pensarla così. Alle partite infatti moltissimi tifosi vengono a salutare me e mio figlio e a ringraziarci per quanto abbiamo fatto. Ciò ci dà forza, e ci permette di ignorare quella trentina di matti che urla contro di noi, o qualcuno che, volendo farsi notare – perché magari è sparito dai media – ama parlar male di noi. A queste persone dico che la porta è aperta: qualcuno vuole comprare il club? O magari vuole darci una mano? Nessuno di questi criticoni ha mai dato una mano o ha mai portato uno sponsor. Troppo facile urlare e basta. Noi invece qua investiamo tempo, lavoro e soldi, e con questo impegno abbiamo riportato il Bellinzona in Challenge League, un campionato che per le dimensioni della città, dello stadio ecc. va più che bene. Ripeto, se qualcuno vuole aiutarci, ben venga, perché qua, al contrario di quel che dice qualcuno, noi non stiamo assolutamente guadagnando soldi, anzi, ne stiamo perdendo parecchi. E se continuerà così, andrà a finire che ce ne andremo, mica possiamo continuare a rimetterci.
Cifre alla mano, fate più spettatori di qualche squadra che in classifica è messa meglio di voi.
La gente vuole venire allo stadio, ma è chiaro che tredici partite senza vittorie hanno tenuto lontano qualcuno. Dopo il successo sul Losanna, però, sono venute ben 1’300 persone. Purtroppo però col Vaduz abbiamo fatto una prestazione pessima (perso 1-6, ndr), per esclusiva colpa dei giocatori: questo non è certo il modo migliore per invogliare la gente a tornare a vederci.
Quanto sei triste e deluso per questa stagione cominciata con propositi di promozione e che invece si sta concludendo col rischio – benché remoto – di retrocessione?
Molto triste, perché in meno di un mese la scorsa estate siamo riusciti a creare una squadra di alto livello. Tutti riconoscevano che avevamo comprato nomi importanti per questa categoria. Intendo proprio come nomi: purtroppo però si tratta di una squadra di tanti generali e pochi soldati, vale a dire che non è mai stata un gruppo unito.
Quindi i problemi avuti quest’anno dai tre allenatori del Bellinzona sono stati creati dai loro stessi giocatori?
Proprio così. E lo abbiamo visto benissimo contro il Losanna, la squadra secondo me più forte come struttura, budget e giocatori, molti dei quali sono da Super League. Ebbene, noi quest’anno col Losanna non abbiamo mai perso. Però, gli stessi 11 che Cocimano ha messo in campo nel weekend di Pasqua e che hanno battuto il Losanna hanno poi perso in casa 6-1 una settimana più tardi contro il Vaduz: questa è la dimostrazione che non dipende certo dall’allenatore. In pratica, non c’è un vero gruppo. I giocatori semplicemente non hanno fatto il loro dovere in campo.
Pensando già all’anno prossimo, che caratteristiche dovranno avere i futuri giocatori granata?
Molto semplice: voglio più soldati a combattere e meno generali capaci solo di far chiacchiere. Abbiamo sbagliato ad assemblare una rosa pensando solo ai nomi e non alla formazione di un gruppo. Questi vogliono solo parlare, mettere il becco su ogni cosa, ma poi il campo e la classifica parlano chiaro.
Nel comunicato distribuito lo scorso weekend allo stadio dai tifosi organizzati, si diceva fra l’altro che Bentancur pensa solo al bene dei giocatori di cui è rappresentante e non pensa al bene della squadra e del Bellinzona: come ti difendi?
Rispondo coi fatti: gli unici giocatori contro cui io e mio figlio abbiamo adottato severe punizioni disciplinari sono proprio quelli che noi rappresentiamo. Ad esempio, abbiamo mandato via Guillermo Padula, e poi abbiamo sospeso Souza per due settimane a causa del suo comportamento. Idem per Pollero, che oggi non sta giocando. Sono tutti giocatori che fanno parte della nostra agenzia. Non abbiamo mai punito nessuno degli altri. Ora ti dico qual è il vero problema: il problema è che ci sono ancora giocatori che vanno a bere birra al Bar Granata e poi si lamentano se non giocano. Si tratta di giocatori che hanno avuto le loro chance, ma in campo hanno avuto paura, hanno giocato male e adesso dicono sempre di essere infortunati, soltanto per chiamarsi fuori. A fine campionato, comunque, parlerò molto chiaramente. Niente a che vedere con calciatori e uomini veri come Matteo Tosetti, uno che ama davvero il Bellinzona e che sa vivere da autentico professionista. Tornando al comunicato dei tifosi, per me è stata una risposta al fatto che noi in settimana avevamo scritto sul nostro sito di essere d’accordo con l’idea del Governo svizzero di identificare i tifosi violenti. Non è che lo stiamo già facendo, ma semplicemente condividiamo l’idea. E la condividiamo perché l’unico stadio di Challenge League in cui gli arbitri devono essere scortati dalla polizia fino al treno o fino alla macchina – ed è già successo tre volte – è proprio il Comunale di Bellinzona. E il nostro purtroppo è anche l’unico stadio dove si sentono urli razzisti, come quando contro lo Sciaffusa qualcuno gridava scimmia all’arbitro di colore. E purtroppo devo segnalare un’altra cosa: un anziano giornalista molto educato e che segue la squadra molto da vicino – Enrico Lafranchi – è stato fermato mentre era in auto, è stato minacciato e poi aggredito, gli hanno rovesciato una birra in testa. Una cosa che, in 60 anni di giornalismo, non gli era mai capitata. E noi ovviamente non tolleriamo cose simili: se proprio dovremo, andremo avanti volentieri senza questi 20 o 30 tifosi, perché a noi interessano di più le altre mille persone, quelle che non fanno parte del tifo organizzato.