Cinquantesei anni fa, nella finale mondiale di Wembley venne segnato il più famoso dei gol fantasma che il mondo del pallone ricordi
Dopo il tiro tutti si voltarono verso l’arbitro a braccia alzate. Per gli inglesi era indubbiamente gol, per i tedeschi indubbiamente no. Gottfried Dienst, svizzero, uno dei fischietti più prestigiosi della storia del calcio, non sapeva che pesci prendere: il tiro di Hurst era stato violento e improvviso, il pallone modello Slazenger 25 Challenge 4 Star aveva sbattuto sulla parte interna della traversa prima di schizzare fulmineo nei pressi della riga. Sì, ma prima o dopo? Difficile dirlo, ma è lui a dover prendere una decisione. Con la coda dell’occhio, Dienst vede il guardalinee attirare la sua attenzione, e corre da lui in cerca di risposte. Tofik Bakhramov lo aspetta un paio di metri dentro al campo, la postura dell’uomo pieno di certezze e i baffi che vi aspettereste da un arbitro degli anni 60 nato a Baku. Senza poter comunicare – uno parla russo e turco, l’altro inglese e tedesco – ma con mimica da far invidia a un attore di teatro, Bakhramov convince Dienst con la risolutezza dei gesti: è decisamente gol. L’arbitro, dubbioso ma ormai impossibilitato a smentire il suo più sicuro collega, convalida. È il gol fantasma più famoso della storia, quello di Geoff Hurst che al 110’ del secondo supplementare di Inghilterra-Germania Ovest – finale del Mondiale 1966 giocata il 30 luglio, 56 anni fa oggi – sparigliò il risultato bloccato sul 2-2 e regalò l’unica coppa del Mondo agli inglesi inventori del gioco (la partita poi finì 4-2, con un altro gol di Hurst al 120’, questo sicuramente buono). Con gli occhi di oggi – replay, video a colori e fermo immagine – quel pallone non pare aver superato la linea. Lo dice anche lo studio più rigoroso dedicato a quel tiro, fatto da Ian Reid e Andrew Zisserman del dipartimento di scienze ingegneristiche dell’Università di Oxford. Sul perché Bakhramov si sia mostrato tanto sicuro, invece, ci restano le leggende: per qualcuno il sovietico avrebbe detto sotto i baffi: «Questa è per Stalingrado», il terribile assedio con cui tedeschi impegnarono i russi durante la Seconda Guerra Mondiale; per altri era dovuto al fatto che pochi giorni prima i tedeschi avevano eliminato l’Urss in semifinale. Lui dirà sempre di non avere visto il pallone varcare la linea nel momento del rimbalzo a terra, ma di aver creduto che il pallone avesse colpito la parte interna della porta e non la traversa sul tiro di Hurst. In ogni caso rimarrà un mito per gli inglesi, passato alla storia come The russian linesman.
Gol fantasma, sviste arbitrali ed errori, palesi o meno, hanno sempre fatto parte del calcio, anche senza toccare punte così leggendarie e controverse. Oggi la tecnologia prova a estirpare la parte umana dei fischietti, quella fallace, tentando di ridurre la giustizia a una serie di parametri geometrici. Come in altri campi, le macchine stanno sostituendo l’uomo: niente più Bakhramov, ma sensori e linee tracciate da telecamere con la nitidezza di un falco. È un calcio migliore? Il Var ha evitato qualche brutta svista, ma ha fatto pure tanta confusione. Ogni campionato lo usa a suo modo e in Europa, forse saggiamente, il suo impiego è ridotto all’osso. Se sia meglio o peggio, di solito, dipende dalla parte della storia in cui uno si trova. Ci fosse stata la tecnologia, avremmo sentito Maradona dire «è stata la mano di Dio»? Una frase diventata poesia, il riscatto dei perdenti. E, allo stesso modo, avremmo avuto ciò che avvenne pochi minuti dopo, il ta-ta-ta-ta-ta-ta del Pibe, il gol del secolo? Certo, difficile spiegarlo agli inglesi, ma intanto sono proprio loro a essersi avvantaggiati dal giudizio umano di Bakhramov, messo lì dal caso per compiere il destino di una nazione. La Germania dovette aspettare 44 anni per pareggiare i conti – non a livello di vittorie, che contro gli inglesi non sono mai mancate – ma per quanto riguarda i gol fantasma: negli ottavi del Mondiale 2010 un tiro al volo di Lampard dopo aver pizzicato la traversa ricadde ben oltre la linea di porta difesa da Neuer, ma arbitro e il guardalinee non se ne accorsero e non bastò neanche un Rooney furioso a far notare che la palla era entrata tanto così (e non mentiva). Fu proprio quella svista a portare la tecnologia nel calcio, convincendo le istituzioni a introdurre la goal-line technology. Se credete nel karma o nelle teorie circolari, beh, questa era la chiusura del cerchio.
Bisogna avere fede – o almeno pazienza – per credere che nel calcio alla fine gli errori si pareggino per creare una giustizia perfetta. La giustizia umana, per definizione, è imperfetta e i Mondiali sono lo specchio più fedele di questa verità. Lo sanno gli italiani, buttati fuori nel 1962 dai padroni di casa del Cile nella "Battaglia di Santiago", una delle partite più dure e scorrette della storia, e vittime 40 anni dopo dell’arbitro Byron Moreno, in una partita contro la Corea del Sud – anch’essa Paese ospitante – che sembrò uno scherzo (ma alla Spagna andò pure peggio). Ma gli italiani nel 1994 si avvantaggiarono dalla mancata sanzione di una brutta gomitata di Tassotti a Luis Enrique e nel 2006 si presero una rivincita: la testata di Zidane a Materazzi, ignorata dagli occhi umani della terna arbitrale, venne catturata da un monitor e poi dal quarto uomo, che avvertì Elizondo in un primo arcaico uso della moviola in campo. Gli argentini, invece, alla grazia ricevuta dalla distrazione del tunisino Ali Bin Nasser nell’episodio della Mano di Dio contrappongono il dolore per il rigorino decisivo fischiato alla Germania nella finale del ’90. Un contatto dubbio dove forse è più Voeller a cercare Sensini che non il contrario. Sono tanti i casi, piccoli o grandi, che ogni nazione ricorda con rancore: la frettolosa espulsione di Valon Behrami nel 2010 contro il Cile che costò alla Svizzera il passaggio agli ottavi (e forse c’era pure fuorigioco nel gol-vittoria dei sudamericani); la mano galeotta di Henry che condannò l’Irlanda negli spareggi mondiali del 2010 («so cosa volete sapere e non mentirò: ho toccato il pallone di mano. Io, però, non sono l’arbitro» disse il francese subito dopo); in Repubblica Ceca giurano che il fallo di Sammer su Poborsky nella finale di Euro ’96 fosse dentro l’area e non fuori, e così via, si potrebbe continuare in eterno. Il più curioso è forse quello accaduto in Australia-Croazia ai Mondiali del 2006: Simunic dovette essere ammonito tre volte prima di essere finalmente espulso.
Insomma, le sviste arbitrali sono come un trucco usato dallo scrittore poco fantasioso per infittire la trama e arricchire la storia. I tifosi di Milan e Juventus giurano di sapere perfettamente dove si trovavano il 25 febbraio 2012 alle ore 21.10, quando il tap-in a botta sicura di Muntari venne respinto un metro dentro la porta da Buffon senza che arbitro e guardalinee se ne accorgessero. «Non mi sono reso conto del gol di Muntari, ma in ogni caso non avrei aiutato l’arbitro» disse il portiere generando polemiche per la seconda parte della frase, quando piuttosto la parte curiosa era la prima: il pallone era ben oltre la linea. La Serie A è stata costruita sul dubbio e la Juventus spesso si è trovata dalla parte giusta (o sbagliata, fate voi). C’è il gol di Turone, una rete che avrebbe deciso lo scontro tra Roma e Juventus – e forse lo scudetto 1981 – ma che venne annullata per fuorigioco. Ancora oggi se ne discute, anche a causa di immagini tv che non riescono a essere definitive (e che sono state oggetto di manipolazioni negli anni). Così come si discute intorno al contatto tra Ronaldo il Fenomeno e Iuliano: il loro scontro dentro l’area di rigore della Juve ha plasmato la rivalità tra bianconeri e nerazzurri, in un turbinio di dichiarazioni e ripicche non ancora sopito. Per l’arbitro Ceccarini l’errore fu non fischiare il fallo del brasiliano, che va addosso all’avversario. Molti però vi direbbero il contrario. In risposta la Juventus può citare il gol in fuorigioco di Mijatovic nella finale di Champions 1998 contro il Real Madrid, vinta dagli spagnoli proprio grazie alla svista del guardalinee, oppure il meraviglioso gol annullato per motivi misteriosi a Platini nell’Intercontinentale ’85 contro l’Argentinos Juniors, che portò alla famosa posa da Paolina Borghese del numero 10 francese (ancora una volta: da una decisione arbitrale brutta esce fuori qualcosa di bello).
Tocca a tutti prima o poi, anche ai club più grandi e potenti. Nella semifinale di Champions 2005 tra Liverpool e Chelsea, il tocco d’esterno di Luis Garcia viene intercettato da Gallas nei pressi della linea, ma è impossibile stabilire se prima o dopo. L’esultanza immediata dello spagnolo, che è forse l’unico a conoscere la verità, fa pensare che l’arbitro abbia fatto bene a convalidarlo, ma neanche una telecamera ci toglie il dubbio. Dopo la partita – col Liverpool finalista e il Chelsea eliminato – Mourinho disse che era «un gol che viene dalla Luna, dagli spalti di Anfield». Quattro anni più tardi, sempre il Chelsea e sempre in semifinale di Champions, si sentì derubato dal Barcellona in un doppio confronto zeppo di episodi da moviola. Al fischio finale, un inferocito Didier Drogba si rivolse alle telecamere gridando: «È una vergogna, avete visto tutti», una reazione che gli costò quattro giornate di squalifica. Sempre parlando di Champions League, a Firenze non dimenticheranno mai il gol di Klose negli ottavi del 2010: il tedesco segnò in fuorigioco di due metri, ma per arbitro e guardalinee era tutto regolare. Alla fine il gol fu decisivo per il passaggio del Bayern e nessuno poté farci nulla. Come fu possibile un errore così evidente? Ognuno ha la sua risposta: destino, complotto, caducità dell’uomo.
Ogni campionato ha i suoi casi, più o meno assurdi. In Hoffenheim-Bayer Leverkusen, un colpo di testa di Kiessling – uscito alla destra del palo ma entrato da un buco nella parte laterale della rete – ha creato un effetto ottico abbastanza convincente da spingere l’arbitro a convalidare il gol. Curiosamente, mentre tutti i compagni esultavano, ingannati pure loro, Kiessling si rammaricava per l’occasione mancata. Alle richieste dell’Hoffenheim di ripetere la partita, Rudi Voeller – Ceo del Bayer – rispose che forse avrebbero dovuto spendere qualche euro in più per una rete decente. Colpa dell’arbitro o di chi si occupava della manutenzione dello stadio? A Leeds ancora non riescono a digerire ciò che successe nella partita contro il West Bromwich: il guardalinee alzò la bandierina per interrompere la fuga di Colin Suggett, ma mentre tutti i difensori si fermarono, l’arbitro decise che l’azione era regolare e fece continuare. Dopo il gol il telecronista urlò «I giocatori del Leeds impazziranno e hanno tutto il diritto di impazzire». Persero quella partita e, qualche settimana dopo, il titolo 1971 a vantaggio dell’Arsenal, per un solo punto.
Sono i casi storici a stratificarsi nell’identità di una squadra e della sua tifoseria (avere gli arbitri contro, o almeno crederlo, può essere trasformato in un vanto, una patente di purezza) e sono appena la punta di un iceberg che ogni settimana si arricchisce di episodi, perché – appunto – sappiamo che non finiremo mai di sbagliare, neanche quando indossiamo divisa e fischietto. Chi tifa sa che su un campo da calcio, ma vale anche per altri sport, può succedere di tutto, e alla fine accetta tutto: portieri che svalvolano, difensori che scivolano, attaccanti che sbragano. Anche arbitri che sbagliano, ovviamente. L’importante è credere che domani, in qualche modo, la giustizia si rimetterà a posto da sola.