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La legge del pianeta ‘Real’, l’abitudine della vittoria

Anno dopo anno, ogni rimonta dei ‘Blancos’ sembra meno casuale, più legata a qualcosa che rappresenta l’essenza stessa del Real Madrid

A Benzema e compagni bastano pochi momenti di enorme qualità per ribaltare l’inerzia di una partita di Champions League
(Keystone)
23 febbraio 2023
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È febbraio, c’è il Carnevale, cominciamo a girare col cappotto sbottonato e il Real Madrid vince le partite di Champions League grazie a improbabili rimonte. È ormai un rito di fine inverno, ma ogni anno che succede è un po’ più incredibile. Perché ogni rimonta, anno dopo anno, sembra un tantino meno casuale, meno contingente, più legata a qualcosa che rappresenta l’essenza stessa del Real Madrid e che non riusciamo davvero a spiegarci.

Mai dare il Madrid per spacciato

Come tutte le altre volte, anche martedì sera abbiamo fatto l’errore di dare il Real Madrid per spacciato. Lo davamo quasi per spacciato prima della partita contro il Liverpool, con negli occhi una stagione minore della Casa Blanca. Il Real Madrid secondo in classifica, a 8 punti dal Barcellona, con Benzema alle prese con diversi problemi fisici, Modric spesso in panchina, Kroos vicino al ritiro. Un’impressione generale di esaurimento delle forze, di fine ciclo.

Lo davamo definitivamente per spacciato dopo 14 minuti, quando il Liverpool era in vantaggio per 2-0. Il primo gol era arrivato con un’efficienza fordiana della catena di destra del Liverpool: da Alexander-Arnold a Salah, l’egiziano mette dentro una palla millesimata per Darwin Nunez, che segna con un tacco dolcissimo, superbo, che ci ha fatto dimenticare una stagione che finora era stata il contrario di così: ruvida, sciupona, imprecisa. Poi il 2-0 arrivato nel più crudele dei modi. Thibaut Courtois perde per un attimo la cognizione del proprio corpo e del pallone. Lo tocca col ginocchio in modo così goffo che poi quasi cade, e Salah mette dentro la palla del doppio vantaggio. Il Real Madrid era stato tradito dall’uomo che più di ogni altra cosa aveva incarnato i poteri magici del club nella scorsa edizione della Champions League: c’è stato un momento, lo scorso anno, in cui era semplicemente impossibile segnare a Courtois. Da solo, con le sue parate, rappresentava la motivazione più o meno razionale dell’overperformance statistica del Real Madrid. Il gol di Salah, allora, somiglia davvero al crollo di un impero. Almeno in quel momento.


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Salah segna dopo la papera di Courtois

Al 20’ però Vinicius Jr. prende una palla che sembra innocua all’ingresso dell’area di rigore, si gira e segna con un tiro sul secondo palo. Vinicius Jr. che poi mostra lo stemma del Real Madrid, come a dire: siamo la storia che non può morire, che vive di leggi eterne, più dure della pietra, più dure di questo quarto d’ora sfortunato che non significa niente. Vinicius Jr. che Carlo Ancelotti dopo la partita ha celebrato come "il calciatore più determinante al mondo" (si sta già preparando per la panchina del Brasile?).

Il Real Madrid non si scompone mai ed è difficile stabilire il confine tra quanto questo dipenda dal talento dei suoi giocatori o dalla mistica che rappresenta come club. Dalla calma tecnica del suo centrocampo, dall’astuzia elegante di Karim Benzema, dai lampi di Vinicius Jr. Oppure dalla forza del suo blasone, del suo potere, dall’abitudine a vincere che perpetua sé stessa in eterno. Se le sue rimonte risiedono quindi nel tangibile o nell’intangibile: sono le questioni profondissime a cui ci costringe il Real Madrid in ogni Champions League. Il calcio è animato da regole fisiche o metafisiche, esiste un Dio ed è interessato al calcio?

Un’altra imprevedibile notte

Se esiste, bisognerebbe capire cosa voleva dirci col bizzarro gol del 2-2. Quando Alisson scarabocchia un rinvio sul corpo di Vinicius Jr. già voltato, e la palla entra in porta da sola. A volte per il Real Madrid le cose sembrano andare al loro posto senza che la squadra di Ancelotti faccia veramente qualcosa. Allora siamo di nuovo alle grandi questioni: è fortuna, è determinazione, è forza mentale, che cos’è che rende così magiche e imprevedibili le notti di Champions del Real Madrid? Come fanno a venire a capo anche delle partite più compromesse? La squadra di Ancelotti somiglia a una di quelle fiere di Tolkien a cui quando si taglia una testa ne ricrescono due.

A inizio secondo tempo la scalcagnata difesa del Liverpool si perde Eder Militao in area di rigore, che di testa segna il 3-2. A quel punto il Real Madrid dilaga: psicologicamente prima che calcisticamente.

Il Liverpool è una squadra alla deriva, che sta in campo senza distanze e soprattutto senza energia. Come se il calcio proposto da Klopp in questi anni avesse prosciugato la forza e la brillantezza dei suoi giocatori, che ora si aggirano per il campo vittime dell’entropia, della stanchezza. I calciatori del Real Madrid sembrano passargli accanto animati da una gravità diversa, più leggeri e precisi, più rapidi e risoluti, capaci di inferire colpi mortali ad ogni azione. E così fanno, con l’aiuto della fortuna che per essere bendata è strano favorisca sempre il Real Madrid. Il tiro di Benzema dal limite dell’area sbatte sul polpaccio di Joe Gomez e spiazza Alisson. 4-2. Fabinho perde un pallone e Luka Modric, anni 38, ha un’accelerazione palla al piede che brucia Stefan Bajcetic, di anni 18. Poi Benzema che mette a terra Alisson con l’eleganza fredda che è stata di pochi nel calcio (Henry? Zidane? Di Stefano?). 5-2. Mai, nella sua storia, il Liverpool aveva subito 5 gol ad Anfield in una partita europea.


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È stata la prima volta che il Liverpool incassa 5 reti ad Anfield in una partita di Champions League

La garanzia della rimonta

Si è arrivati al paradosso che avere un vantaggio di uno o più gol sul Real Madrid diventi garanzia di sconfitta. Certe cose sono difficili da spiegare, eppure ricorrono con una regolarità tale da farci pensare che siano "leggi", almeno per come è definita una legge in termini scientifici: enunciato che individua e descrive un ordine, una regolarità, una tendenza in fenomeni più o meno complessi. E così il Real Madrid batte il Liverpool di nuovo, e lo fa ancora con superlativo cinismo. E così il Real Madrid compie un’altra rimonta straordinaria che comincia a sembrarci ordinaria. Klopp, come già successo al Borussia Dortmund, sta finendo il proprio ciclo al Liverpool con spettacolare enfasi. Il suo calcio sembra bruciare troppo in fretta, mentre quello del Real Madrid sembra poter vivere in eterno.

La squadra di Ancelotti padroneggia ogni registro tattico, come se possedesse il codice stesso del calcio, la sua essenza. E allora non le serve nemmeno dominare. Preferisce anzi concedere alle avversarie un controllo che infine risulta illusorio. Al Real Madrid bastano pochi e brevi momenti di enorme qualità calcistica per ribaltare l’inerzia di una partita di Champions League. Un palleggio improvviso dei suoi geni di centrocampo, un dribbling di Vinicius Jr., uno smarcamento di Benzema. Anche un semplice colpo di fortuna.


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Carlo Ancelotti, il padre della creatura

L’ordine nel caos

Siamo nell’epoca che più sta cercando di razionalizzare il calcio attraverso il controllo di tutte le variabili. Nelle sfide di Champions League (o dei Mondiali), però, anche le squadre più illuministe devono fare i conti col nocciolo duro d’irrazionalità che sta nel cuore di una partita di calcio.

Se Pep Guardiola sta cercando di cancellare questa componente di caos dal calcio (riuscendoci però solo nel tempo dilatato dei campionati), Klopp col Liverpool ha inseguito per anni un equilibrio virtuoso fra caos e controllo. Stiamo parlando dei due allenatori più importanti e influenti della nostra epoca. Poi c’è il Real Madrid, prima di Zidane e poi di Ancelotti, che invece ha abbracciato completamente quel caos, non lo teme. È una squadra che rappresenta un discorso a parte, nella storia e nell’evoluzione del calcio europeo, un pianeta che obbedisce solo a leggi proprie.

La dimensione emotiva e aleatoria del calcio non sembra avere segreti per il Real Madrid. E questo sprigiona quella che sempre più spesso sentiamo definire come "la mistica del Real Madrid". Una narrazione intangibile che però abita queste serate, con effetti più o meno diretti su quello che succede. Sembra condizionare i giocatori in campo, regalare fiducia a quelli in maglia bianca, e sconfortare tutti gli altri. In una delle leggendarie rimonte della scorsa Champions i tifosi madrileni avevano accolto il Psg con una coreografia minacciosa: "Somos los reyes de Europa". Del resto, anche Ancelotti ha ammesso che tutte le rimonte della scorsa edizione hanno trasmesso calma alla squadra: mentre era sotto 2-0, in uno dei campi più ostici d’Europa, era consapevole comunque di potercela fare.


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‘Los reyes de Europa’

Il ‘miedo escenico’ e il ciclo senza fine

Non è il primo momento storico che il Real Madrid ripete con naturalezza clamorose rimonte: da 0-3 a 6-1 contro l’Anderlecht nell’84, da 0-2 a 3-0 contro l’Inter nell’85 e da 1-5 a 4-0 contro il Borussia Monchengladbach nello stesso anno. Poi addirittura da 1-3 a 5-1 ancora contro l’Inter nel 1986. Un intellettuale come Jorge Valdano allora prese in prestito un’espressione di Gabriel Garcia Marquez, il "miedo escenico", per provare a descrivere l’ansia paralizzante che coglieva gli avversari al Bernabeu. Anche in quel caso si provava a dare una forma a qualcosa di sfuggente che però ci sembra di riconoscere. Quel qualcosa continua a esistere anche quarant’anni dopo.

Da tempo cerchiamo di indovinare qual è il momento della fine del Real Madrid, o almeno di questo Real Madrid. Dovrà pur finire, pensiamo, un ciclo ormai cominciato con la Champions del 2014: la decima. La rotondità di quel traguardo, raggiunto con Carlo Ancelotti in panchina, ci aveva già fatto pensare a qualcosa di concluso. Di quella squadra che aveva battuto in finale l’Atlético, in una delle serate in cui la mistica si era abbattuta sui rivali in modo particolarmente spietato, rimangono solo Benzema e Modric. Nel frattempo loro hanno vinto altre 4 Champions League e 2 Palloni d’Oro, mentre attorno i compagni sono cambiati, continuando a interpretare una narrazione che è fuori di loro e che però abita i loro corpi in serate come quella di martedì. Cambiano i giocatori, la mistica del Real resta. Come dichiarato pochi giorni fa in un’intervista da Eduardo Camavinga, uno di questi nuovi interpreti: "Pensano che il Real Madrid sia morto, ma il Real Madrid non è mai, mai, morto".