Seconda parte dell'intervista al ct della Nazionale rossocrociata: ‘Non lascio i miei ragazzi a piedi solo perché attraversano un momento di difficoltà’
Agli Europei manca poco meno di un mese. La Nazionale rossocrociata preparerà la rassegna continentale a Bad Ragaz, dove resterà dal 26 maggio al 4 giugno, prima della partenza in direzione di Baku (sede della partita d'esordio contro il Galles sabato 12 maggio) prevista lunedì 7 giugno. Due i test che la Svizzera sosterrà al Kybunpark di San Gallo durante il campo d'allenamento: domenica 30 maggio contro gli Stati Uniti e giovedì 3 giugno contro il Liechtenstein. Due amichevoli che serviranno a Vladimir Petkovic per stilare la lista definitiva dei rossocrociati che lo accompagneranno alla rassegna continentale che apre i battenti venerdì 11 giugno con il match inaugurale Italia-Turchia a Roma. «La prima partita, quella con gli Usa - spiega il ct rossocrociato - è sicuramente più importante, perché affronteremo una squadra di grande valore, composta di giocatori che militano ad alto livello, in campionati di primo piano. Ha caratteristiche simili alla Turchia e al Galles, per stile di gioco, aggressività, corsa. È un test molto indicativo, anche se cade dopo pochi giorni di allenamento. Inizieremo a lavorare mercoledì e giocheremo domenica, ma è già una verifica di un certo peso. Si introducono dei cambiamenti, si esce dallo schema degli allenamenti tipico delle preparazioni, si fanno ruotare molti giocatori. La partita con il Liechtenstein segnerà la fine del ritiro. Con tutto il rispetto per l’avversaria, la dobbiamo vincere per partire per Baku con lo spirito positivo».
Il ritiro e le due amichevoli forniranno a Petkovic le ultime indicazioni di cui ha bisogno per la composizione definitiva della rosa. Un’operazione complicata, che impone delle scelte non sempre facili. «Sono tanti a meritare un posto in Nazionale. Una delle questioni aperte da valutare con attenzione riguarda quei giocatori che hanno avuto problemi perché non giocano nei rispettivi club per scelta tecnica o perché sono stati infortunati o ammalati. La situazione di alcuni di loro sta tornando alla normalità, tra due settimane avrò un’idea più precisa. Certi giocatori (Schär è uno di questi, ndr) non li posso ancora considerare inseriti appieno nel processo della squadra, serve ancora un po’ di tempo. Il fatto di poterne portare 26 invece dei soliti 23 agevola un po’ il compito, anche se aumenta il numero di quelli che resteranno fuori e si accomoderanno in tribuna. In questa prima fase mi baso su uno zoccolo duro di 15 o 16 giocatori. La lista allargata mi permette di tenere tanti altri sulla corda, comunicando loro che sono sotto stretta osservazione. Non mi posso permettere di avere già adesso 26 giocatori certi di essere convocati o che “pretendono” di esserlo, anche perché qualcuno di loro nelle mie gerarchie è magari solo il venticinquesimo. Darò la possibilità a qualche giovane di vivere l’Europeo come una prima grande esperienza che più avanti darà i suoi frutti, ne sono sicuro. Che debba guardare le partite dalla tribuna o che invece sia protagonista in campo».
I criteri di scelta sono plurimi: in modo particolare, però, pesano l’esperienza a certi livelli e la frequenza con la quale il calciatore trova spazio nel proprio club. Qualità in senso assoluto e ritmo-partita: un’equazione di non così facile soluzione, a volte. Ricardo Rodriguez è da anni uno dei pilastri della Nazionale, ma nel Torino è finito ai margini dell’attuale progetto tecnico. «Ricardo continua ad allenarsi su buoni livelli. Anche lui è uno di quelli che seguiamo individualmente. Ha giocato poco, l’allenatore fa scelte che non lo chiamano in causa, ma noi abbiamo anche il tempo di portare questi giocatori a un livello tale da poter sostenere anche il ritmo delle partite. Nelle due amichevoli citate, ci sarà chi troverà maggiore spazio proprio perché ha bisogno di mettere minuti nelle gambe. Schär è uno di questi: gli serve giocare tutte e due le partite, quantomeno uno spezzone anche della seconda. Non lascio i miei ragazzi a piedi solo perché attraversano un momento di difficoltà. Lo stesso Rodriguez nei test di marzo ha mostrato ciò di cui è capace. Ha un ruolo importante e si inserisce bene nel mio credo che prevede la presenza di 23/26 giocatori in grado di rappresentare in modo positivo la Nazionale per la quale giocano. Lui è uno dei leader. Tutti i giocatori sono uguali, qualcuno è più uguale (ride, ndr)».
Europei sì, Europei no. Dal rinvio della scorsa estate, fino alla conferma della disputa di una competizione che ha tenuto tutti col fiato sospeso, tra speranze e timori di un annullamento. «Speravo che tutto potesse essere ufficializzato un po’ prima, ma lo sviluppo del covid è strano, tanto che non possiamo neanche prevedere con assoluta certezza quale sarà la situazione tra tre o quattro settimane. Prendiamo quanto di buono c’è, ma con le pinze e con piani alternativi già preparati. Bisogna avere la perfetta conoscenza di tutti gli aspetti legati all’organizzazione, per essere in grado di reagire in ogni momento. Anche se è pur vero che qualche certezza in più ce l’abbiamo».
A lungo si è discusso circa il numero delle città ospitanti. L’ipotesi di concentrare l’evento in poche sede è stata accantonata per tornare alla formula originale del torneo itinerante, così concepito dall’allora presidente dell’Uefa Michel Platini. «All’inizio anch’io pensavo che fosse un problema giocare in così tanti paesi diversi, ma mi sono reso conto che se avessimo concentrato tutto in una o poche sedi, avremmo convogliato lì, in una singola città, in un solo stadio, tutta l’Europa, tutto il mondo. Con i rischi del caso. Così, per contro, c’è una minore concentrazione di persone che potrebbe permettere agli organizzatori di tenere tutto sotto controllo. Con meno affluenza c’è meno possibilità di prolungare questa agonia. Mantenere la formula originale va quindi salutata come un’ottima idea. Così come va apprezzata l’apertura degli stadi al pubblico nella misura del 25 per cento della capienza: un’apertura intelligente, con importanti ripercussioni sul piano economico. Anche Uefa e Fifa si sono distinte per varie donazioni e iniziative benefiche in tantissimi ambiti, a sostegno di tanti progetti. È giusto che possano ricominciare a incassare qualcosa».
Il problema degli stadi deserti e del calcio senza pubblico, però, permane. Giocare con pochi spettatori muta un po’ la prospettiva ma non la cambia del tutto. A certi livelli l’apporto del pubblico può risultare determinante. Anche in Seconda lega, poter contare su 50 persone fa la differenza rispetto a un campo deserto. Tifosi significano ambiente, calore. Purtroppo ci siamo abituati anche fin troppo a giocare senza spettatori. Ne consegue che sarà anche difficile abituarsi a riaverli. In campo si sente tutto quanto viene detto fuori, e viceversa: le indicazioni tattiche, gli incitamenti, le urla dei giocatori in occasioni di plateali simulazioni… Quando in uno stadio ci saranno nuovamente 10’000 spettatori, non sarà più possibile sentire tutto. I giocatori saranno spaesati perché non sentono più l’allenatore o saranno più liberi mentalmente proprio per questo motivo? Vedremo. Intanto, inutile dire che auspico che si possa presto riaprire. Speriamo che anche in Svizzera si possa ottenere presto un piano che preveda un’affluenza percentuale in base alla capienza. È fondamentale. Cominceremmo a respirare e ad andare allo stadio in maniera diversa.
Cinque mesi fa, in uno slancio di ottimismo, disse che forse da questo periodaccio pieno di vincoli il calcio avrebbe potuto uscirne più bello, migliore. È ancora di questo avviso? Ritengo che questa situazione abbia accelerato certi processi. Penso a una squadra come il Manchester City, ma anche alla Nazionale… Abbiamo velocizzato un certo tipo di movimento e reso più dinamico e snello l’approccio alla partita. Cambiamo più facilmente e velocemente le cose. Le sostituzioni sono diventate cinque, l’organico della selezione per gli Europei è salito da 23 a 26. Così forse avvantaggiamo le squadre che già sono più forti, perché hanno più qualità e rose più ampie, ma l’elasticità che viene richiesta a ogni squadra non può che giovare alla causa comune. Erano discorsi che forse andavano affrontati prima, ma all’improvviso sono diventati d’attualità. Ora si tratta di vedere se questi accorgimenti avranno un’influenza anche su partite con tanti spettatori allo stadio che rendono meno diretto il contatto con il campo. Quanto al ritmo, che inizialmente aveva un po’ risentito della situazione, beh mi pare che siamo tornati ai livelli di prima. Non fatico a immaginare che anche solo 20’000 spettatori possano dare una spinta ulteriore che potrebbe velocizzare il gioco ancor di più.
C’è qualche squadra che ha stupito maggiormente Petkovic in questi ultimi mesi? La Turchia ha disputato ottime partite, anche lungo il percorso della Nations League. È una squadra molto omogenea e parecchio rinnovata, pur restando nel solco della tradizione turca: si combatte sempre, ma lo si fa con più qualità. Quanto all’Italia, il suo valore non lo si può discutere: a livello di risultati è la migliore squadra al mondo. Sono curioso di vedere se e come reggerà la pressione, visto che gioca in casa. La Turchia la affronteremo nel terzo incontro, molto dipenderà dai risultati precedenti, perché loro viaggiano molto in base al carico emotivo che si portano appresso. Ci attendono tre partite molto difficili. Per noi sarà molto importante vincere la prima partita. Ci prepariamo per questo.