Le concomitanze di Lugano e Massagno nonché la qualità approssimativa del pacchetto ‘forestiero’ inficiano la spettacolarità del gioco
Anche lo scorso fine settimana abbiamo avuto Lugano e Massagno in contemporanea, o quasi: non stiamo parlando di squadre regionali o cantonali ma dello stesso agglomerato urbano, mentre Pully e Nyon possono benissimo giocare in casa (anche se ‘domiciliate’ nello stesso cantone). Chi stila i calendari dovrebbe solo evitare la simultaneità delle ticinesi, e il gioco è fatto. Ad esempio, come a volte accade, facendo scendere in campo una sabato e l'altra domenica. Si dirà che i tifosi sono diversi, eppure se consideriamo i pochi appassionati di basket rimasti, pare evidente che le concomitanze fanno perdere a entrambe le società un centinaio di spettatori. E quando la media è di poco superiore alle trecento unità, tutto conta. È un discorso che interessa sponsor e investitori, ma anche i giocatori amano essere circondati da un pubblico adeguato e che li sostenga. Il basket ha bisogno di tornare a coinvolgere il maggior numero possibile di persone, soprattutto adesso che il calcio smette di essere in concorrenza. Le società dovrebbero coinvolgere maggiormente i settori giovanili, e di conseguenza le famiglie, per creare quel senso di appartenenza che fa di una squadra un oggetto del desiderio in quanto parte di un insieme molto importante. Lo scollamento fra settore giovanile e prima squadra è, in certi casi, troppo evidente... senza una compagine trainante, bisogna sottolineare, il basket sarebbe però ai titoli di coda.
La qualità del gioco, inoltre, non è trascendentale. E, soprattutto, differente fra le prime cinque squadre e le altre. Il fatto che non tutte dispongano di quattro stranieri è di principio un elemento discriminante, non in termini prettamente sportivi ma (appunto) qualitativi. Tutti i club dovrebbero sedersi a un tavolo e fare delle scelte che siano le migliori possibili affinché il campionato abbia maggiori equilibri e sia più interessante. Quando un tempo le palestre erano colme, non si può affermare in maniera assoluta che la qualità fosse superiore, se non per il fatto che i due stranieri per squadra erano di un livello alto e quindi garantivano già da soli spettacolo tecnico e agonistico. Non è un discorso da nostalgico dei tempi di Raga, Sanford, Brady e Fultz, anche se evidentemente erano dei catalizzatori. Quelli che offrivano spettacolo in ogni loro gesto, nelle sfide personali. Oggi ci ritroviamo con stranieri di qualità molto approssimativa e non potrebbe essere altrimenti se prendono meno di un decimo di quanto guadagnavano i migliori trent’anni fa. La qualità degli svizzeri e naturalizzati non è così scadente, nel suo complesso, come non lo era nei tempi passati. Una riflessione sul fatto che si potrebbe ripensare agli investimenti e al numero degli stranieri, sarebbe magari un buon passo verso un campionato più elettrizzante e coinvolgente. Meglio due ottimi stranieri che quattro mediocri e, a volte, vere ciofeche col biglietto in mano per essere rimandati a casa.