laR+ L'anniversario

L’ultimo tragico volo del ‘Bombardiere marocchino’

Vittima di un incidente aereo, moriva 75 anni fa il pugile francese Marcel Cerdan, rivale di Jake LaMotta e grande amore della celeberrima Edith Piaf

In sintesi:
  • Marcel Cerdan, scomparso il 28 ottobre del 1949 alle Azzorre nello schianto dell'aereo che lo stava portando a New York, è stato il più grande pugile francese della storia
  • Ad attenderlo al di là dell'Atlantico, oltre a Edith Piaf – sua compagna e star della canzone - c'era anche Jake LaMotta, che dopo averlo privato del titolo mondiale quattro mesi prima, gli aveva concesso la rivincita
28 ottobre 2024
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Il volo Air France 009, che collegava Parigi a New York con partenza in tarda serata, si era svolto fin sopra le Azzorre senza problema alcuno, e fu con estrema serenità che il pilota comunicò alla torre di controllo di Vila do Porto – sull’isola di Santa Maria – che aveva l’aerostazione in vista e che si stava apprestando ad atterrare per effettuare l’abituale scalo di metà viaggio.

Il Lockheed L-749-79-22 Constellation, però, quella pista non la toccò mai, perché – davvero non si sa come – non soltanto esattamente 75 anni fa andò a schiantarsi contro una montagna, ma lo fece addirittura sull’isola sbagliata, quella di Sao Miguel, posta un centinaio di chilometri più a nord della meta prevista.

Chissà se i passeggeri – tutti morti, così come l’intero equipaggio – hanno avuto il tempo di rendersi conto di quanto stava succedendo. Molto probabilmente no, tranne forse i piloti. E per fortuna. È dunque quasi certo che il celebre pugile di cui vi narriamo oggi un pezzo di storia, come del resto tutte le altre 47 persone a bordo, non sia riuscito a rivedere in pochi secondi l’intero film della propria vita, come qualcuno sostiene accada nella più drammatica delle situazioni.

Il trentatreenne Marcel Cerdan, dunque, prima di spirare non riuscì a dedicare nemmeno un pensiero alla moglie che non amava più, o ai suoi tre adorati figli. E nemmeno gli fu concesso di mandare un ultimo bacio a Edith Piaf, stella di prima grandezza della canzone e sua compagna da circa tre anni.

Galeotto fu Montmartre

Si erano conosciuti a Parigi, al Club des Cinq, un locale di Montmartre dove lei si esibiva prima che la collina imboccasse la via dello sputtanamento turistico e perdesse tutta la sua autenticità. E poi si erano rivisti a New York, dov’era sbocciato un amore travolgente che loro avevano sempre pubblicamente negato – affermando che si trattava soltanto di una grande amicizia – ma che era sotto gli occhi di tutti, visto che sia nella Grande Mela sia nella Ville Lumière avevano acquistato appartamenti in cui si rifugiavano ogni volta che se ne presentava l’occasione.

Se il campione aveva optato per l’aereo invece della nave per raggiungere gli States era stato proprio su richiesta del celeberrimo ‘Passerotto’. Mi manchi troppo – gli aveva scritto lei dalla casa a due passi da Park Avenue – e non posso immaginare di aspettare altre due settimane. E così lui – che in realtà avrebbe avuto a disposizione oltre un mese prima di cambiare continente, dato che il suo match contro Jake LaMotta era programmato soltanto per il 2 dicembre – aveva deciso di anticipare i tempi.

Naturalmente, negli ultimi istanti di vita, Cerdan non fece in tempo a ripensare nemmeno all’Algeria dov’era nato nel 1916 – da madre spagnola e papà francese – né al Marocco dove si era trasferito al seguito dei genitori quando aveva appena tre anni. E nemmeno fece in tempo a ricordare il giorno in cui, a otto anni appena compiuti, malgrado una sterminata passione per il calcio, aveva cominciato, obbligato dal padre e dai fratelli maggiori, a tirare di boxe, ipotecando senza ancora saperlo – infilandosi per la prima volta fra le corde del ring – l’intera sua esistenza futura.

La città della Legione Straniera

Il suo burbero e violento genitore dalla Francia aveva raggiunto il Nordafrica nei primi anni del Novecento in cerca di una vita migliore. Qualcuno gli aveva detto che Sidi Bel Abbès – che il romanziere svizzero Friedrich Glauser avrebbe poi descritto in modo crudo come una Gomorra di droga, violenza e prostituzione – malgrado tutto sarebbe stato il luogo ideale dove metter su famiglia e bottega da macellaio.

Quella città algerina, infatti, era il quartier generale della Legione Straniera, un’organizzazione che dava da vivere a migliaia di operai, artigiani e fornitori di ogni tipo. E gli affari, in effetti, erano andati molto bene, tanto da riuscire in breve tempo a metter via il grano necessario per acquistare un locale notturno molto ben avviato in quel di Casablanca.

Sul ring, Marcel mostra subito un notevole talento, stende con facilità ogni avversario nelle categorie giovanili nordafricane e, quando è ancora minorenne, viene ritenuto pronto per il grande salto: andare a combattere nella madrepatria, dove a detta degli esperti avrebbe potuto cominciare una gloriosa e assai remunerativa carriera. A scortarlo in nave fino a Marsiglia e poi a Perpignan, dove possiede una palestra, è Lucien Roupp, amico del padre di Cerdan e poi manager del pugile per molti anni.

A 17 anni, presentato come ‘Il Bombardiere marocchino’, il ragazzo prosegue con la vecchia abitudine di mettere al tappeto chiunque osi incrociare i guanti con lui. Il pubblico francese – che a Parigi affolla il Vélodrome d’Hiver e la mitica Salle Wagram per vederlo combattere – è incantato da questo pieds-noirs che, pur non essendo un killer spietato (prova infatti pietà per i rivali, ed evita di infierire su di loro come fanno invece molti altri boxeur), pratica un pugilato essenziale e assai efficace. Il suo record è più che eloquente: si aggiudica tutti i suoi primi 48 incontri, perde per squalifica il 49°, ma poi riprende a inanellare affermazioni, mettendo in fila altre 23 vittorie consecutive.

Il titolo continentale

Campione di Francia dei pesi leggeri, nel 1939 – dopo aver messo su un po’ di chili – viene ingaggiato per affrontare Saverio Turello, che è campione europeo dei welter. Il match non mette in palio la corona, ma siccome Marcel ne esce vincitore, l’italiano è costretto a sfidare di nuovo il francese quattro mesi più tardi, questa volta per la cintura. E il 3 giugno, a Milano, Cerdan si laurea campione continentale, all’epoca condizione necessaria per poter ambire a un titolo mondiale.

La Seconda guerra mondiale, però, per qualche anno porrà enormi ostacoli allo sviluppo della sua carriera. Coi nazisti ormai padroni di Parigi e del nord della Francia, di puntare al Mondiale non se ne parla nemmeno. I tedeschi vorrebbero adottare questo pugile così coraggioso e vincente, ma lui fa orecchie da mercante, e nemmeno accetta gli inviti a cena che gli recapitano i vertici militari di stanza sulle rive della Senna.

Cerdan diventa, forse senza nemmeno volerlo, un simbolo della Francia umiliata e in cerca di riscatto: dopo le sue vittorie, il pubblico infatti intona ‘La Marsigliese’ benché i crucchi l’abbiano ufficialmente proibita. Finché un giorno, nel 1942, senza dir niente a nessuno, raggiunge il Sud e si imbarca per far ritorno in Marocco, nella Casablanca della Resistenza, quella del Rick’s Bar di Humphrey Bogart, un night non molto diverso da quello gestito da suo padre. Marcel combatterà e vincerà la guerra nelle file degli Alleati, che gli permettono pure – di tanto in tanto – di tenersi allenato e di salire sul ring.

La corona mondiale

Con la Liberazione, la carriera di Marcel può dunque riprendere. Mette su un altro po’ di massa, diventa peso medio e, anche nella nuova categoria, fa sua la cintura europea. È ormai un’autentica star: nel 1946, per assistere a un suo match, al Parco dei Principi accorrono la bellezza di 37mila spettatori. Ad applaudirlo estasiati, a bordoring, ci sono politici e star internazionali, fra cui Jean Gabin e Marlene Dietrich. E un paio d’anni più tardi, finalmente, all’ormai trentaduenne Marcel Cerdan viene concessa la grande occasione.

A mettere in palio la corona mondiale è lo statunitense Tony Zale, detto l’Uomo d’acciaio dell’Indiana e considerato una specie di mito, visto che è stato capace di strappare la corona nientemeno che a Rocky Graziano. La determinazione del francese è però incontenibile, e a Jersey City (in pratica a New York, sull’altra sponda del fiume Hudson rispetto a Manhattan), il 21 settembre del 1948 – davanti a 20mila appassionati – costringe i secondi dell’americano a gettare la spugna.

Le celebrazioni per Cerdan, al ritorno in patria con la cintura in mano, sono quanto di più maestoso si sia mai visto a Parigi in ambito sportivo, e la parata trionfale per le affollate strade della capitale ricorda quelle – ancora fresche nella memoria – che avevano fatto seguito all’entrata dei liberatori americani nel 1944.

Il Toro del Bronx

Il nuovo campione del mondo – che ormai risiede quasi in pianta stabile al di là dell’Atlantico, perché la boxe che conta si pratica laggiù – mette in palio il suo titolo alla fine della primavera seguente, il 16 giugno 1949, al Briggs Stadium di Detroit (23mila paganti), contro un pugile emergente e destinato a entrare nella leggenda.

Si tratta di un ventiseienne italoamericano che viene dal Bronx e che, proprio come Cerdan, ama la boxe a media-corta distanza: il suo nome è Jake LaMotta, il celeberrimo ‘Toro Scatenato’ portato sugli schermi cinematografici, una trentina d’anni più tardi, da Martin Scorsese e Bob De Niro. Alla vigilia, gli scagnozzi di Frankie Carbo – uno dei più temuti uomini della famiglia mafiosa Lucchese – avvicinano il francese e gli propone soldi facili (mezzo milione di dollari) per farsi atterrare senza troppi danni dopo poche riprese, ma Marcel, che ha dignità da vendere, cortesemente declina l’offerta.

I due rivali – Cerdan e LaMotta – paiono gemelli: stessa altezza (173 cm), identica stazza (76 kg) e taglio di capelli in fotocopia. C’è un filmato del match in questione reperibile su Youtube, ovviamente in bianco e nero, che mostra questa incredibile somiglianza. Oltretutto, come detto, combattono in modo speculare: ingobbiti, portano colpi a corto raggio per via dell’allungo scarso che caratterizza entrambi.

A differenziarli è soltanto la banda elastica che tiene su i loro bermuda, che nel Toro del Bronx è più chiara. Ma, soprattutto, a distinguerli è anche il fatto che il francese non usa il braccio sinistro, quasi del tutto dislocato all’altezza della spalla già nel corso della prima ripresa.

Una menomazione che, non è difficile intuire, gli costerà parecchio: incapace di coprirsi su un lato, Marcel subisce una gragnuola di colpi che presto gli deforma il viso. Ma di ritirarsi non vuol sentir parlare, e proibisce al suo angolo di gettare l’asciugamano sul ring. A salvarlo da danni peggiori sarà il medico, che nell’intervallo fra il nono e il decimo round ordina all’arbitro di decretare la sconfitta per ferita del campione.

Hymne à l’amour

La rivincita, fissata come detto per il 2 dicembre, non avrà mai luogo, perché un pilota d’aereo improvvisamente impazzito ci metterà lo zampino. Marcel Cerdan non raggiungerà mai Edith Piaf nella loro casa newyorchese al 136 Lexington Avenue.

Nemmeno 24 ore dopo lo schianto, imbottita di tranquillanti, lei salirà comunque sul palco, confidando al pubblico che quella sera avrebbe cantato soltanto per il suo uomo da poco scomparso. Poco prima della fine del concerto, però, crollerà in scena e dovrà essere portata in ospedale. L’anno seguente, il Passerotto dedicherà a Cerdan l’Hymne à l’amour, una delle sue canzoni più celebri. E lo stesso farà ancora una decina d’anni più tardi, quando inciderà Mon Dieu.

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