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Andrea Pirlo fa pensare alla poesia

La carriera, la classe e la personalità dell’ex regista di Milan, Juventus e Nazionale azzurra in un libro appena pubblicato firmato da Alfonso Fasano

In sintesi:
  • Dotato di un talento immenso, Andrea Pirlo in campo faceva sembrare semplici cose che in realtà erano difficilissime da realizzare
  • «Ho sempre voluto stare al centro di tutto», dice l'ex regista parlando dell'intera sua vita, già da quando era bambino
  • Gli appassionati ora si chiedono quanto l'ex fantasista italiano potrà diventare bravo in veste di allenatore
Andrea Pirlo
27 settembre 2024
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Qualche giorno fa, saltando tra le proposte di YouTube, mi è comparso un video degli highlights di una partita di beneficenza tra vecchie (più o meno recenti) glorie calcistiche che si è svolta a Monterrey in questo settembre. Ex campioni contro una selezione messicana. Del Piero, Xavi, Buffon, Terry, Puyol, Drogba e soprattutto Pirlo.

Guardando quegli otto minuti scarsi di filmato mi sono accorto di una cosa: anche a carriera finita, i campioni quando non sapevano cosa fare passavano la palla a Pirlo, al maestro. Che gioca, certo in maniera molto più lenta, come giocava. Testa alta, facendosi vedere, in pieno possesso del centro del campo, occhi dappertutto, piedi magici e capacità di controllare in ogni situazione. E visionarietà di gioco. Dovevo cominciare a scrivere questo pezzo e ho pensato, ma guarda, è sempre tutto davanti ai nostri occhi. Ho anche pensato, maestro una volta, maestro per sempre.

Il predestinato

Andrea Pirlo, uno dei miei calciatori preferiti e – per gli anni in cui ha giocato – il preferito insieme a Iniesta. L’occasione di scriverne ce la offre il bellissimo libro ‘Andrea Pirlo, dalla testa ai piedi’ di Alfonso Fasano, appena uscito per 66thand2nd.

«Perché il predestinato è riuscito a prendersi lo spazio e la luce e l’attenzione che doveva prendersi, nonostante tutto». Se pensiamo al concetto di visione di gioco, super abusato, e spesso usato male, pensiamo a calciatori come Pirlo, ma bisogna andare un poco oltre con lui, bisogna ricorrere appunto alla visionarietà, come accennato più sopra. La capacità di vedere (e sopravvedere) una grande porzione di campo, anche quella parte di campo dove gli occhi non arrivano.

Pirlo sapeva sempre dove mettere il pallone, perché lì sarebbe arrivato un compagno di squadra (che sapeva di non dover correre invano). Pirlo sapeva quando passare di prima, conosceva i tempi di gioco e di inserimento, e sapeva quando aspettare, lui i tempi di gioco li dominava, possiamo dire che li stabiliva. Poteva aspettare perché era quasi impossibile togliergli il pallone dai piedi. Pirlo pensava con la palla tra i piedi, a velocità impressionante, mentre almeno un paio di avversari tentavano di portargliela via.

Pensava e trovava il famoso corridoio, quel piccolo spazio visibile solo a lui che avrebbe messo il compagno davanti alla porta. Pirlo aveva talento, controllo di palla, intelligenza, conoscenza dei movimenti e molta fantasia. Queste cose e molte altre che troviamo nel libro di Fasano (il dalla testa ai piedi del titolo non è per niente casuale) spiegano il visionario che è stato Pirlo e che, in fondo, sempre sarà.

In quella partita a Monterrey, dopo che tra Del Piero e Drogba sbagliano sei, sette gol, la palla arriva a Pirlo che da più di venti metri calcia una maledetta in movimento e sblocca il risultato, poi si guarda intorno, come un tempo, come ha sempre fatto, con l’aria di aver fatto la cosa ordinaria, la cosa consapevole, la cosa che conosce di sé. La sicurezza con il talento, l’intelligenza con la bravura, l’essere fuori dal comune anche al di là del campo e del gioco, tutto questo, in forma di bellezza, ritroviamo leggendo il racconto di Fasano.

Un personaggio che fa letteratura

«Andrea Pirlo dà l’impressione di essere molto distante dalla maggior parte dei suoi colleghi. Di certo è lontanissimo dall’idea di calciatore che abita il nostro immaginario». Pirlo è un personaggio che fa letteratura, mai banale, come si capisce bene leggendo Fasano. Non banale in campo e questo sarebbe impossibile da negare, ma nemmeno fuori dal campo, nemmeno quando era ragazzino e tirava (già benissimo) i primi calci, né adesso che fa l’allenatore. Insieme agli assist, ai dribbling, ai tiri di Pirlo vanno ricordati gli atteggiamenti, mai sopra le righe, la serietà, la consapevolezza, la capacità di esprimersi, di fare ragionamenti maturi anche da giovane e di dare spesso la risposta che chi ha fatto la domanda non si aspetta, di sapersene andare al momento giusto.

I titoli dei capitoli del libro sono tutti virgolettati, nel primo leggiamo «In dieci, i miei compagni non riuscivano a segnare. Io da solo sì». E ci sarà un perché, pensava Pirlo, e, col senno di poi, sappiamo anche noi. Il titolo del quarto capitolo è «Sono un calciatore che sa pensare», ed è una differenza fondamentale tra lui e tanti, e anche tra chi ha magari pari talento ma non la stessa capacità di ragionamento. E, per chiudere questo giro, al nono capitolo troviamo: «Ho sempre voluto stare al centro di tutto», eccoci qua.

Intanto, possiamo dire che il Pirlo ragazzino sapeva quello che avrebbe potuto diventare, e che il Pirlo adulto, il Maestro, ha sempre ricordato quello che il ragazzo sapeva. Fasano ci ricorda i momenti cruciali della carriera di Pirlo, i momenti fondamentali e quelli minori. Il primo è di certo quello al Brescia, quando Carletto Mazzone, davanti a una pizza, disse al suo vice che avrebbero dovuto provare ad arretrare Pirlo, così da avere una linea immaginaria, verticale, di passaggi tra lui e Baggio. Dopo la pizza, Carletto convinse tutti, a cominciare proprio dal suo fuoriclasse.

C’è un Pirlo fino al 2000 pieno di talento e c’è il Pirlo del 2001 che trasforma il talento in qualcosa di divino, la magia che ci fa guardare ancora le partite. Fasano è bravo a percorrere tutte le fasi e a mostrarcele alternando il suo spirito di tattico e di conoscitore di calcio a quello più romantico, poetico, di certo letterario. Perché per raccontare Andrea Pirlo non puoi limitarti a fare il saggista, devi fare lo scrittore, e Alfonso Fasano (lo aveva già dimostrato nel suo libro su Guardiola) lo è.

C’è stato poi il Pirlo incantevole del Milan e quello, diversamente, incantevole della Juventus. Quest’ultimo, il più complicato, l’inatteso, quello con la barba che si dice: ricominciamo. Che si dice: è finita quando lo decido io. In tutti quegli anni c’è il Pirlo della Nazionale, quello dei passaggi senza guardare, quello che era capace di tenere la palla in mezzo al campo, tra due o tre giocatori, anche per venti secondi, anche per trenta – sembrava cadesse e non cadeva – per poi servire il compagno più libero, quello pronto a scattare, quello che stava già vedendo la porta.

Centrocampista? No, oltrecampista

«[…] Andrea Pirlo è un simbolo trasversale, a cui è impossibile rinunciare, e quindi ha un inevitabile destino: deve rimanere al centro di tutto. Lo sa anche lui […]». Secondo Fasano, il talento di Andrea Pirlo è tanto unico e diverso che il suo modo di giocare ha fatto nascere nuovi modi di osservare il calcio, nuove possibilità tattiche, nuovi modi/mondi cui orientare il ruolo del centrocampista. Pirlo, ecco, forse è stato un oltrecampista.

Giocando in quella maniera unica ha cambiato le regole di ingaggio, per gli avversari su come provare a prenderlo; circa il campo, invece, sapere che lo si potesse accorciare o allungare a seconda della sua visione. Pirlo non guardava, ma vedeva, a uno dei suoi passaggi più celebri devo (dobbiamo in molti) una delle nostre serate felici.

Si parla dell’assist a Grosso durante la semifinale contro la Germania nel 2006. Nessuno credeva in quel passaggio, noi – conoscendo Pirlo – potevamo sperarlo. La palla, come se ci trovassimo nel mondo delle fate, dal piede di Pirlo (che guarda altrove) va verso uno spazio ignoto, poi verso Grosso che calcia a giro e segna. Il tempo ha smesso di esistere per come lo conosciamo, si è contratto prima di espandersi di nuovo per registrare il secondo in cui si è manifestata la meraviglia. Dopo ci sono io che ballo intorno a un ventilatore, anche lì senza guardare.

Che allenatore sarà?

Fasano ci restituisce quella meraviglia, frazionata in tanti momenti, in cui Pirlo ha mandato in porta qualcuno, meraviglia cominciata forse, idealmente, da quel lancio per Baggio – contro la Juventus – ai tempi del Brescia e conclusa (sul campo) con l’ultimo assist fatto per la Juventus. Bisogna vedere quanta di quella meraviglia la potremo rivedere, in altre vesti, con lui allenatore.

Chi scrive questo pezzo crede che Pirlo possa diventare più bravo di come lo abbiamo visto fino a qua in panchina, immaginiamo possa pensarlo anche l’autore del libro. Andrea Pirlo fa pensare alle poesie, alla capacità di sintetizzare il linguaggio in poco spazio quando c’è da servire di prima, ribaltare il campo in pochi secondi; e poi alla capacità di allungare il verso, attraverso il controllo del pallone e del ritmo, concedendo il respiro e il tempo – al destinatario del passaggio e allo spettatore – di immaginare. Pirlo, infine, ci fa pensare alla gioia, perché al pallone non chiediamo che quella, ma sono in pochi che sono in grado di farcela raggiungere.

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