A poche ore dagli Swiss Indoors di Basilea, il fisioterapista racconta alcuni curiosi retroscena del mondo della racchetta fra scienza e malocchio
Nessuna palla è uguale a quella precedente, ogni volta bisogna valutare (in una piccola frazione di secondo) la sua traiettoria e velocità. Questo succede anche sul cemento ‘bluastro’ della St. Jakobshalle di Basilea, dove, fra poche ore, alcuni dei migliori tennisti in circolazione entusiasmeranno appassionati e non della racchetta. Il match, tuttavia, inizia prima di imboccare quel corridoio: bisogna essere il più in forma possibile in modo da non influenzare la prestazione. E prepararsi mentalmente a fronteggiare qualsiasi impiccio, come il posticipo dell’incontro a causa della meteo ballerina; attimi non inquadrati dalle telecamere, che Alfio Albasini conosce quasi a menadito. Concluso il liceo, il bellinzonese è indeciso su quale percorso intraprendere. La carriera di medico o quella di fisioterapista? «Ho scelto la seconda giacché, all’epoca, la manodopera scarseggiava. Adesso il mercato è saturo, però allora ogni laureato riceveva almeno sette offerte di lavoro». L’oggi 55enne effettua una settimana di tirocinio nell’ex clinica militare di Novaggio, rimanendo ammaliato dal metodo utilizzato da una specialista statunitense. Nel corso della sua formazione, del suo curricolo, ha la fortuna di essere chiamato da uno studio di Basilea che aveva in cura la squadra interclub di un giovane e ancora sconosciuto Roger Federer, all’epoca tredicenne. «E, grazie alla fiducia accordatami dal mio superiore, ho iniziato a frequentare e conoscere anche il mondo della pallamano incamerando esperienza… ancora senza diploma», confida. Albasini s’imbarca poi sull’aereo volando in direzione dell’Australia, di Perth, dove consegue il Master in terapia manuale prima di tornare in Ticino e assumere, fra l’altro, la carica di istruttore esperto in fisioterapia e medicina sportiva presso l’Asf. Nel suo palmarès spicca inoltre un corso di più giorni tenuto nel quartier generale del Real Madrid. «A tempo parziale sono altresì docente in differenti università del mondo quali, ad esempio, in Sud Africa, Sud America, Europa e Medio Oriente». Dai suoi primordi è cambiato parecchio grazie alla scoperta di nuove «interessanti tecnologie. Qualche decennio fa dominavano la scena elettroterapia, massaggi e (comuni) esercizi riabilitativi. Ora, invece, alcuni dispositivi permettono addirittura di capire in quale modo l’atleta corre e come il muscolo si contrae. L’analisi biomeccanica studia il movimento e la posizione del corpo individuando, se del caso, differenti attivazioni del tessuto». Il tutto necessita comunque di essere comprovato mediante la ricerca e la pratica clinica in modo da confermarne, o eventualmente smentirne, «l’efficacia medica sull’evidenza scientifica. E non sulla magia».
Albasini, e l’omonimo studio di fisioterapia, sono anche i ‘massaggiatori’ ufficiali del Ladies Open di Bellinzona, torneo del circuito internazionale femminile. «Di solito rimaniamo in disparte, intenti a trattare un atleta, ma possiamo entrare in azione in qualsiasi momento... Quest’anno erano presenti ben 48 giocatrici: eravamo operativi dalle sette (circa) di mattino sino alle undici di sera, conclusa la giornata di competizioni, in quanto è necessario permettere alle ragazze di recuperare e rigenerarsi; abitualmente mettiamo loro a disposizione la nostra palestra cosicché possano allenarsi in tranquillità. Ed effettuare lavori muscolari». Il medical timeout rimane tuttavia qualcosa di misterioso, che spesso pare sfociare in una situazione caotica. La radiolina squilla, il giudice di sedia «richiede il tuo intervento. Tutto passa in secondo piano, lì, aspettando indulgente il cambio campo. Nel minuto, e spiccioli, di pausa affianchi l’atleta cercando di capire la causa del malessere, che può essere il classico indurimento alla coscia. È necessario utilizzare l’esperienza incamerata e capire in quale modo curare questa lesione, più in fretta rispetto a quando si è in studio. Assimilata l’anamnesi, affermi la parola magica, start, facendo scattare due minuti aggiuntivi». Le gradinate sono assiepate, migliaia di occhi focalizzati sulle tue mani, e quel conto alla rovescia assillante. Niente panico, o stress, solo velocità d’esecuzione. «Ho una borsa in cui infilo la qualunque. Da gel a disinfettanti fino a creme riscaldanti. Un giorno era talmente freddo, che una giocatrice non riusciva a tenere in mano la racchetta. Non sapevo come risolvere la circostanza, allora ho ripiegato sul cosiddetto rimedio della nonna», afferma sornione. Un momento, il medical timeout, concitato e, talvolta, quando chiamato in modo da spezzare il ritmo del proprio rivale, quasi dall’effetto miracoloso. Ad emulsionarsi all’antisportività: «fermarsi solo qualche istante, sedendosi ad esempio in panchina, può risultare fatale e compromettere la partita. Non bisogna comunque fare di tutta l’erba un fascio giacché, alcuni giocatori, in primis Alexander Zverev, hanno delle specifiche necessità». Il teutonico è stato tacciato di mancanza di fair play, ma, in realtà, ha il diabete. Sascha «è legittimato ad iniettarsi l’insulina altrimenti rischia di incorrere nell’iperglicemia, l’eccessiva quantità di zuccheri nel sangue. Non sempre, però, il circuito maggiore accetta la somministrazione in campo in quanto può sembrare una sostanza illecita, senza alcuna regolamentazione». È invece un altro discorso quando il fisioterapista è interpellato nelle fasi di appannamento. O difficoltà. Il bellinzonese spiega che non possono mai esimersi dal curare l’atleta, «il ‘rimedio’ sarà una leggera sfregatina da annotare poi sul rapporto del trattamento».
Andy Murray. Roger Federer. E Rafael Nadal. Una nidiata d’oro in cui solo il rossocrociato è riuscito a evitare infortuni rilevanti, esclusa una lesione del menisco ormai a fine carriera. Nel mondo di palline e racchette le preoccupazioni maggiori sono l’articolazione patello femorale e il tendine rotuleo, ma, «un quadricipite allenato e delle cosce sviluppate conferiscono maggiore stabilità, attutendo colpi e spostamenti laterali. Il bacino fermo e la colonna vertebrale in asse talvolta sono da ricondurre a una questione genetica, a madre Natura. Ad esempio Federer è stato interessato da meno lesioni perché morfologicamente perfetto e il suo repertorio basato più su classe e finezza, che sul corpo. Nel caso di Nadal, invece, tutto gravita sulle torsioni: le infiltrazioni a cui si è sottoposto nel corso del suo ultimo (finora, ndr) Roland Garros, probabilmente non sarebbero mai state effettuate su un ragazzo; spesso i giocatori hanno un comportamento sbagliato e alla lunga debilitante, come successo a Rafa». Il fisico malandato dello scozzese, assillato da dolori all’anca, evoca altre motivazioni. «La passione, sì, ma senza consumare il corpo pensando soprattutto in ottica post carriera. Murray è perseguitato dalla paura di rompersi nuovamente la caviglia da non levarsi più questo ‘ausilio’ su ambo i piedi, bloccandone tuttavia il movimento». È dunque importante essere circondati «da un ambiente familiare, e non, che non cerca solo di approfittarsi della propria celebrità onde racimolare qualche soldo in più... D’altronde fisico e mentale sono un tutt’uno». Non bisogna inoltre dimenticare il rapporto fra atleta e fisioterapista. «La fiducia s’instaura dimostrando competenza, aiutando degnamente chi si trova sul lettino e, innanzitutto, risolvendo il malessere. L’esperienza incamerata dal campione affermato permette di riconoscere come si muovono le mani e il ragionamento clinico a supporto di tutto ciò». Nello studio di Alfio Albasini non sono mancati assi del calibro di Nikoloz Basilashvili, Hakan Yakin e Shelly-Ann Fraser-Pryce. Ogni disciplina ha le sue lesioni. A seconda dell’attività «cambiano le patologie. Non, tuttavia, l’analisi. Ad esempio nel calcio non avremo (mai) nessuno interessato da epicondilite, ossia l’infiammazione del gomito. Più frequente nel mondo della racchetta e in quello di pallamano e pallavolo», conclude il bellinzonese.