Il velocista del Gruppo Atletico Bellinzona è confrontato a stimolanti sfide su più fronti, dai Mondiali U20 agli studi accademici
«Ero cresciuto 25 centimetri nel giro di un anno e mezzo. Troppo in fretta, ovvio, tanto che i muscoli non riuscivano a star dietro all’allungamento dello scheletro, e così mi sono rotto una vertebra, una tipica frattura da stress. Il dolore era tremendo, specie di notte, mi prendeva il nervo sciatico e mi impediva di dormire, sono perfino finito al Pronto soccorso. Abbiamo provato a intervenire con un busto ortopedico e con la fisioterapia, ma senza nessun miglioramento, e così abbiamo deciso di fare un’operazione. Certo, ho avuto un po’ di paura di non poter più correre, ma il ricordo che ho dell’intervento è molto positivo: è lì infatti, fra i 15 e i 16 anni, che ho capito che il mio futuro sarebbe stato negli studi in medicina». Ecco chi è Nathan Oberti, 19 anni non ancora compiuti, grande speranza della velocità svizzera. Del resto Chico Cariboni, responsabile tecnico del Gruppo Atletico Bellinzona, me l’aveva detto che Nathan è un ragazzo davvero in gamba, e non parlava solo delle sue qualità in pista. Riesce benissimo in tutto ciò che fa – aveva specificato – a scuola ad esempio ha appena ricevuto un riconoscimento importantissimo.
«Ho fatto un lavoro di maturità in ambito farmacologico – mi spiega Nathan –, che è stato premiato al concorso di Scienza e Gioventù, ed è stato presentato all’Università a Lugano. Una giuria di esperti lo ha poi selezionato per uno step ulteriore, un premio americano che è fra i più prestigiosi al mondo per ciò che concerne i giovani studenti: mette in palio ottime borse di studio. E l’anno prossimo, in maggio, andrò a presentarlo in Texas, dove mi fermerò una settimana».
Incontro Nathan Oberti al Liceo di Bellinzona, la scorsa settimana. Mi dà appuntamento per le 13, appena terminato l’ultimo esame scritto di maturità. Il ragazzo sfoggia eloquio impeccabile, estrema educazione e intelligenza da vendere. Capisco subito che sarà una chiacchierata interessante. «Il grosso è fatto, ora restano solo gli orali. E poi, l’8 luglio, farò l’esame di ammissione per la facoltà di medicina. Ancora non si sa in quale città studierò, per via del numerus clausus. Poi, in base ai risultati del test, mi comunicheranno presso quale ateneo verrò iscritto. Niente vacanze estive quest’anno, penserò solo a esami, allenamenti, gare e a un bel corso intensivo di tedesco, ovviamente».
Basterebbero queste premesse per fare di Nathan Oberti il figlio che tutti vorrebbero, ma in realtà c’è molto altro da dire su di lui: il ragazzo di Sant’Antonino infatti è anche un atleta eccellente, fra i migliori velocisti in Svizzera della sua categoria d’età, vale a dire l’Under 20. Dall’inizio dell’anno, ha già migliorato ben sei primati personali. Nei 110 ostacoli, ad esempio, ha fermato il cronometro a 13"80, tempo che vale il settimo miglior risultato a livello continentale e il 25° su scala planetaria. Per i Mondiali di categoria, in cartellone in Colombia a inizio agosto, ha già guadagnato il limite per 110 h e 200 m, ma spera di qualificarsi anche per staffetta 4 x 100 e 100 m, per i quali è richiesto un tempo di 10"60 e per ora è arrivato a 10"67. Potrà provarci fino al 17 luglio.
«L’aspetto mentale è fondamentale: l’anno scorso, ad esempio, nella prima gara dell’anno ho mancato di pochissimo – solo 3 centesimi – il limite per qualificarmi agli Europei. Oltretutto pioveva. Sembrava dunque che la stagione dovesse andare benissimo, ma poi purtroppo ho avuto un calo a livello mentale e i risultati non sono stati quelli che speravo. Quest’anno invece, da questo punto di vista, va davvero tutto per il meglio. E i tempi sono lì a dimostrarlo». Ne citeremo solo uno: alla prima uscita con la staffetta 4 x 100 elvetica di categoria, un paio di settimane fa, è subito giunto il record nazionale. Giusto dare risalto all’aspetto mentale, ci mancherebbe, ma senza allenamento non si va da nessuna parte. «Ovvio, certi risultati li raggiungi anche perché lavori tantissimo a livello fisico. Ogni settimana faccio 6-7 allenamenti di un paio d’ore in pista, a cui aggiungo due sessioni di palestra per altre 4 ore. Sono allenamenti massacranti, spesso io e i miei compagni finiamo per vomitare a causa della fatica. Per fortuna l’ambiente in seno al Gab è magnifico: non fossimo così uniti, sarebbe difficilissimo sopportare fatica e sacrifici».
Affetto e riconoscenza che Nathan Oberti manifesta non solo verso i compagni di fatiche, ma pure nei confronti di tutti gli allenatori. «Sono tutti bravissimi e molto preparati. Per gli ostacoli, ad esempio, sono seguito da Monica Pellegrinelli, che nel 1991 in questa disciplina ha partecipato ai Mondiali di Tokyo. È preparatissima e ha una grande esperienza. Anche Michele Ruefenacht, decimo nel decathlon a Los Angeles ’84, è molto prezioso per me, mi trasmette una grande fiducia».
Il discorso con Nathan va sul Galà dei Castelli, manifestazione bellinzonese dai molti pregi, compreso quello di aiutare i più piccoli ad avvicinarsi all’atletica leggera. «Vedere da vicino all’opera campioni del calibro di Gatlin e Powell ha senz’altro contribuito al boom che il nostro sport ha vissuto negli ultimi anni. Ma credo che grandi esempi siano stati soprattutto gli atleti di casa nostra. Penso soprattutto ai successi colti da Mujinga Kambundji e Ajla Del Ponte, ma anche da Ricky Petrucciani. Merito loro se oggi al Gab arrivano così tanti bambini a iscriversi da dover mettere un numero chiuso».
Per fortuna questa pratica non era in uso una decina d’anni fa, quando a muovere i primi passi in pista c’era Nathan, altrimenti avremmo rischiato di perdere per strada un autentico talento. «Esatto: ci fosse stato il numero chiuso ai miei tempi, mi avrebbero subito lasciato a casa, e avrebbero fatto bene: i primi tempi ero molto poco assiduo, mi facevo vedere allo stadio non più di un paio di volte al mese. A suggerirmi di provare era stato il maestro di ginnastica delle Elementari, Mimo Balestra, che ci faceva correre gli 80 metri sul marciapiede. Evidentemente, aveva visto in me un certo potenziale. Ad ogni modo, tornando al Galà dei Castelli, ti dirò che questo meeting è tuttora fonte d’ispirazione anche per me, che sono già cresciutello. Un tempo portavo i cestini coi vestiti degli atleti, ora invece corro i 100 metri nel pre-meeting, quest’anno sarà la quarta volta. E ovviamente guarderò con attenzione ogni gara. Ammiro la gente di talento e da ognuno cerco di prendere qualcosa. Poter ammirare i migliori al mondo è un gran privilegio. So quali sacrifici hanno fatto per raggiungere certi livelli, e questa consapevolezza mi aiuta a non mollare quando le cose non vanno per il meglio, oppure quando in inverno, dato il contesto in cui ci alleniamo – al freddo, al buio e con 4 strati addosso – vorrei piantar lì tutto». Gli faccio notare che al clima rigido esisterebbero alternative: trasferirsi all’estero per potersi allenare nelle migliori condizioni. Del resto, non mancano esempi di sportivi d’élite ticinesi che, a un certo punto, per la loro crescita hanno ritenuto indispensabile emigrare.
«Non ci ho mai pensato – mi risponde –. Per farlo, devi già essere diventato professionista e avere un tuo allenatore personale. Non è certo il mio caso. Col Gab, oltre alla preparazione ordinaria, facciamo già tre campi d’allenamento all’anno, in inverno, per Pasqua e d’estate, e ritengo che per ora sia più che sufficiente. Andarmene all’estero, dunque, per ora non è un’opzione, anche perché ho la ferma intenzione di studiare medicina qui in Svizzera».
E qua torniamo al famoso infortunio di qualche anno fa. «Il professor Carol Hasler, primario di ortopedia al Kinderspital di Basilea, mi ha fissato la vertebra con due viti e tutto si è sistemato. Avesse dovuto legare insieme due o più vertebre, come spesso succede, avrei quasi certamente dovuto smettere di gareggiare. Quel medico mi spiegava per filo e per segno ogni cosa, e mi sono appassionato così tanto che, a un certo punto, gli ho chiesto se potevo assistere a qualche operazione. Lui ha acconsentito, permettendomi di vedere diversi interventi, uno di neurochirurgia e cinque di ortopedia. Ogni volta uscivo dalla sala operatoria sempre più convinto di voler diventare chirurgo».
Guardo l’orologio, è quasi ora di chiudere. Gli chiedo se gli piace la musica. «Certo, e tengo la mia playlist sempre aggiornata. La uso anche per allenarmi e gareggiare, mi aiuta a concentrarmi e a portare il corpo più vicino possibile al suo limite. Spesso è musica un po’ aggressiva: Eminem, Pink Floyd e Ac/Dc. Molto efficace è anche il rap, che ascolto benché non sia il mio genere preferito».
Niente musica sinfonica, mi dico, e in fondo è normale, trattandosi di un diciannovenne. Comunque chiedo conferma, non si sa mai. E infatti mi smentisce: «Certo che mi piace anche la musica classica, ho studiato pianoforte per sette anni, al conservatorio. Ora, però, lo suono solo ogni tanto. Mi resta poco tempo per tutto, morosa compresa: meno male fa anche lei il liceo, così riusciamo a vederci almeno a scuola. Devo proprio scappare –, mi dice stringendomi la mano –. Oggi anticipo un po’ l’allenamento per riuscire ad arrivare a Lugano in orario: stasera vado al Lac a vedere Notre Dame de Paris». Game, set, match.