Chiacchierata con l’allenatore Nikolic e il presidente Cedraschi dopo che la loro giovane squadra ha chiuso la regular season all’ultimo posto
Non è semplice metabolizzare una stagione difficile come quella dei Lugano Tigers, costretti a guardare i playoff dalla poltrona dopo aver chiuso la massima serie all’ultimo posto con appena quattro successi in 27 partite. Ne parliamo con l’allenatore dei bianconeri Milutin Nikolic e con il presidente Alessandro Cedraschi.
Coach Nikolic, come giudicare globalmente il vostro campionato?
Diciamo subito che sapevamo sin dall’inizio che sarebbe stata una stagione difficile. La scelta di prendere solo tre stranieri e di dare spazio ai nostri giovani non poteva che porre degli interrogativi, ma allo stesso tempo portarci a non farci troppe illusioni. Anche se credevo fermamente che potevamo arrivare almeno al sesto posto o, con un po’ di fortuna, al quinto, vista la forza delle avversarie.
Avere tre lunghi stranieri anziché due e un playmaker sarebbe stato meglio, anche per far crescere i giovani bisognosi di confrontarsi con un play americano e non solo tra loro...
Concordo e mi prendo la responsabilità delle scelte: ho pensato che, non avendo lunghi svizzeri, fosse necessario coprire questo aspetto tecnico, contando sul fatto che avevamo preso Cafisi, un play in grado di fare bene. Inoltre, i vari Togninalli, Matasic, Dell’Acqua, Bernardinello e Mina, avrebbero avuto i giusti spazi nei ruoli di guardie o play, con l’aggiunta dell’esperienza di Stevanovic e Bracelli.
Invece?
Invece Cafisi ha avuto problemi fisici a ripetizione, gli altri sono stati bersagliati, anche più volte, dal Covid, Stevanovic ha avuto un andamento molto ondivago e Bracelli non ha fatto un ulteriore salto di qualità. È chiaro che se avessimo avuto più mezzi finanziari a disposizione, avremmo potuto cambiare un giocatore straniero, ma abbiamo fatto di necessità virtù e siamo arrivati così sino alla fine.
Vista la classifica finale, non è poi mancato molto per accedere ai playoff, diciamo un paio di scontri diretti...
Anche questo è vero. Dico però subito che ai nostri stranieri non potevamo chiedere di più: li trovate nei primi 5-7 posti in quasi tutte le classifiche e con minutaggi da 36 a 39 minuti per gara, che sono un record. Non avendo molti cambi, in diverse partite abbiamo giocato alla pari fino a 4 o 5 minuti dalla fine (se non fino all’overtime) prima di soccombere. Insomma, malgrado tutte le avversità, con un briciolo di energia, di testa o di fortuna in più, potevamo anche entrare nei playoff.
Con le squadre sulla carta di pari livello, quali sono state le differenze più evidenti?
I punti realizzati dagli svizzeri hanno fatto la differenza: le squadre dalla quinta alla decima posizione hanno dei potenziali simili, con la differenza che quasi tutte hanno almeno una ventina di punti per gara dagli svizzeri. In teoria e tabelle alla mano, abbiamo avuto una media d’insieme di 25 punti, però distribuiti in modo che oltre i 20 ci siamo andati pochissime volte, forse 4 o 5, mentre nelle altre compagini è quasi la regola.
Le difficoltà più evidenti di questo progetto?
Diciamo che lo scalino per passare dalla U23 alla prima squadra è molto alto, a cominciare dai fondamentali individuali fino a quelli di squadra. È chiaro che, potendoci allenare una volta al giorno tutti assieme, non c’è tempo per fare un lavoro specifico sui fondamentali, perché devi preparare i giochi e le difese. In questo senso abbiamo avuto una certa crescita tecnica dei nostri giovani, anche se ora manca quella fisica e un affinamento della tecnica. Ci siamo dati un paio d’anni per arrivare ad avere un nucleo nostrano valido, quindi ci vorrà pazienza.
Il futuro rimane quindi incerto?
Come sempre: per i giovani ci sarebbe da lavorare tutti giorni sugli aspetti appena elencati, ma poi incombono esami scolastici, nazionali e U23 che tolgono spazi e quindi si vedrà di ottimizzare il tempo che rimane per dare una più solida struttura a tutti, tecnica, fisica e anche mentale.
Presidente Cedraschi, con lei spostiamo il discorso sul piano societario: che dire?
La società ha fatto tutto il possibile nell’ambito di un progetto di ricostruzione. Logicamente abbiamo avuto i problemi, comuni anche alle altre squadre seppur in misure diverse, legate alla pandemia e agli infortuni che hanno in parte limitato il rendimento. Eravamo una squadra "corta" e ogni defezione l’abbiamo pagata a caro prezzo.
La realtà che gravita attorno al club?
Il nostro club coinvolge oltre 250 famiglie, abbiamo squadre in ogni categoria ma, per motivi legati a calendari e a impegni scolastici o familiari, non abbiamo quel seguito che vorremmo. Il senso di appartenenza diventa essenziale per il club e noi dobbiamo lavorare in questo senso, anche perché è un discorso importante pure per gli sponsor.
A proposito di finanziamento, in un contesto cittadino che trova oltre 20 milioni per l’hockey e oltre 15 milioni per il calcio, non se ne trova mezzo per il basket?
È la realtà, ma io voglio ringraziare la Città di Lugano per i contributi che ci dà e tutti i nostri sponsor, grandi e piccoli, che ci hanno permesso di chiudere la stagione senza debiti. Poi è chiaro che se ogni finanziatore ci desse il doppio, e parlo anche di quelli che ci versano 500 franchi, avremmo un budget che ci permetterebbe di stare fra le prime quattro o cinque e giocarcela per un trofeo.
Cosa salva di questo campionato?
Direi che mi è piaciuto l’impegno e l’abnegazione di tutti i giocatori fino all’ultima partita: hanno svolto sempre con determinazione quanto è stato loro chiesto dai nostri allenatori e dal preparatore atletico e, pur con i limiti evidenziati in precedenza, hanno cercato di progredire e di fare sempre bella figura, lottando anche sotto di 25 punti. Un segnale positivo che deve essere uno dei punti di partenza per la prossima stagione.
Si è parlato di fusione con Massagno e di multisportiva, ma è difficile che l’anello debole possa imporre una forma di società in stile Real Madrid...
Vero, quindi non mi faccio illusioni, a meno che non sia la Città a mettere in piedi un progetto di questo tipo. Per ora la realtà ci dice che dovremo cercare di ottimizzare le risorse, contare sulle persone che ci hanno aiutato sinora – e che ringrazio di cuore – con l’augurio che ci siano nuovi interessati a sostenere il nostro club. In fondo il basket è lo sport che ha portato più titoli e coppe svizzere a Lugano e sarebbe bello che si potesse tornare a veleggiare nelle alte sfere del campionato. Credo che abbiamo molte risorse sul territorio e quindi l’invito è sempre quello di darci un sostegno: le nostre porte sono sempre aperte, così come il nostro settore giovanile è pronto a dare continuità nella creazione della base per il futuro di questa società.