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'Il nuoto è parte di me': intervista alla ticinese Sharon Marcoli

Incontro con la giovane atleta della Nuoto sport Locarno. Dalla fatica degli allenamenti a quella nell'affrontare le gare: 'Manca qualcosa a livello psicologico'

Ti-Press
4 maggio 2018
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«Per me lo sport è vita», dichiarò lo scorso autunno. Una considerazione forte, che tradisce la passione non comune di Sharon Marcoli per il nuoto, la disciplina che ha abbracciato quando era piccolina, e che continua a scandirne i ritmi anche ora che è una liceale con la testa sulle spalle e una maturità notevole. «Non è cambiato niente – spiega l’atleta della Nuoto sport Locarno cresciuta però nella piscina di Bissone –, il nuoto continua a piacermi moltissimo. E aggiungo che senza non ce la farei. Ormai questo sport è parte di me, è una cosa che faccio ogni giorno da quando sono piccolina. Quando non c’è, mi annoio. È bello anche rifiatare, intendiamoci, ma poi mi manca, quando non lo pratico. Fa parte della mia vita. Ecco perché ribadisco che lo sport è vita».

Il nuoto è disciplina di fatica, richiede a chi lo pratica un intenso sforzo atletico. Che rapporto hai con la fatica?

Affronto sempre gli allenamenti con l’attitudine giusta. Faccio fatica, certo, ma so che gli sforzi che faccio portano a qualcosa. Il problema nasce in gara: mi si passi il gioco di parole, ma faccio fatica a fare fatica, in competizione. È un limite che mi frena, non mi porta a fare i tempi che potrei invece fare. La forma fisica c’è, la preparazione è adeguata, ma manca qualcosa a livello psicologico. Non riesco a superare una certa soglia. Ce la faccio solo quando non ho aspettative particolari, o in gare che affronto senza un obiettivo preciso. Ai recenti Campionati a squadre seguiti agli Svizzeri non mi aspettavo nulla di particolare, ma ho migliorato cinque tempi nelle cinque prove disputate, con tanto di tre record ticinesi. È un risultato che nessuno si aspettava. È arrivato perché mi divertivo, perché mi piaceva fare quella fatica, come se fossi in allenamento. Agli Svizzeri, per contro, non avevo saputo esprimermi al meglio. Soffro la pressione pre-gara. Vado in panico totale. È uno spreco di energie enorme. Ci pensi talmente tanto, che arrivi alla gara come se l’avessi già fatta duecento volte. Devo svolgere un lavoro su me stessa, mi sto apprestando ad affrontarlo.

Emerge in queste parole la parte più delicata del carattere di Sharon. Sotto la padronanza con la quale si pone, si cela una forma di insicurezza della quale parla senza ritrosia, che nel nuoto si traduce con prestazioni non sempre all’altezza delle aspettative e dell’innegabile potenziale. Eppure Sharon di risultati di rilievo ne ha ottenuti tanti: basti solo ricordare le sei medaglie d’oro

La gara prediletta? I 200 delfino agli Svizzeri giovanili dello scorso anno a Tenero.

Lo dico sempre, ho due personalità diverse, in acqua e fuori dall’acqua. Fuori sono molto sicura di me. Quantomeno, molto più sicura di quanto non sia in acqua. In acqua mi trasformo, penso negativo. A volte, però, mi capita di essere determinata e a mio agio, ed è in quei frangenti che porto a casa risultati importanti. Tendo a sottovalutarmi, non mi rendo conto delle mie capacità. Vale per il nuoto, ma anche per altri aspetti della mia vita, dalla scuola all’aspetto fisico, al carattere. Ho la tendenza a pensare negativo, forse per tutelarmi. Sono fatta così, ed è difficile cambiare. Ci si può lavorare, ma non è un’operazione scontata.

La crescita di un’atleta passa anche da momenti di bassa.

Il mio rendimento è altalenante. Quando devo ottenere buoni risultati, mi massacro mentalmente e non li ottengo. Quando invece nessuno si aspetta niente, i risultati arrivano. Per il terzo anno ho fallito il limite per gli Europei giovanili (Helsinki, ndr). Nei 200 delfino mancava mezzo secondo, veramente poco. Ci sono rimasta male, era il mio obiettivo di tutta la stagione, ci ho lavorato veramente tanto. Si dice che chi semina raccoglie: ebbene, io ho seminato tanto, ma non sono riuscita a raccogliere quanto volevo. So che non l’ho fatto per niente, ma a un certo punto volevo addirittura smettere di nuotare. La tipica reazione a caldo. Ne ho parlato con la mia famiglia, con il mio allenatore (Max Baroffio, ndr). Sono ancora giovane, ho ancora tante esperienze da fare. Gli Europei sarebbero stati un’esperienza importante, ma non così importante da farmi smettere di nuotare per una mancata qualificazione. È da tre anni che cerco i tempi. Ogni volta fallisco per una bracciata, o una gambata. Mi viene una rabbia... La preparazione era andata benissimo, sono stata costante a tutti gli allenamenti. Il rimpianto per il risultato c’è, ma si va avanti.

Un lavoro specifico a livello psicologico potrebbe giovare.

Non ho ancora iniziato, perché non ci sono scadenze imminenti che lo richiedono. Siccome sono testarda, non ritengo di aver bisogno di uno psicologo sportivo, o di una figura professionale del genere. Tuttavia, se il problema persiste, dovrò affidarmi a qualcuno che mi segua a livello psicologico.

Pur con i limiti del caso, l’allenatore può avere questa funzione. Non fosse che per il rapporto stretto che esiste con l’atleta che segue tutti i giorni, anche più di una volta al giorno.

Non a caso Max Baroffio (allenatore capo della Nsl, ndr) è il mio primo psicologo, la prima persona alla quale confido le mie sensazioni. È quello che mi conosce meglio, sia a livello sportivo, sia umano. È un sostegno importante. Tra allenatore e atleta deve esserci la massima fiducia reciproca, sia a livello sportivo, sia all’esterno della piscina. So che con lui mi posso confidare, ha esperienza e sa darmi i consigli giusti.

‘In acqua non ci vado solo per i risultati. So che l’indomani sarò comunque di nuovo in acqua.’ È un principio ancora valido?

Due giorni dopo la cocente delusione della mancata qualificazione agli Europei giovanili ero in acqua ad allenarmi. Nuotare mi aiuta a sfogarmi, a riflettere.

È ancora divertente?

Noi che facciamo nuoto a questi livelli siamo un po’ matti. Ma io mi diverto. Non so cosa ci sia di divertente, ma qualcosa c’è, e mi mette addosso felicità.

Domiciliata a Lelgio, frequenta il Liceo sportivo di Locarno. Per evitare spostamenti lunghi e faticosi, in settimana è ospite della famiglia del compagno di squadra Noè Ponti. A casa torna nel weekend, per la gioia della mamma. Una situazione davvero particolare, resasi necessaria per stare al passo con studi e allenamenti.

Noè lo considero mio fratello. Anche se non è la mia, la famiglia Ponti mi ha accolto e mi tratta come una figlia. È una seconda famiglia, è come se fossi a casa mia. La mia assenza pesa un po’ alla mamma, la rendo felice quando ritorno, nel weekend. Per la mamma una figlia è sempre la sua piccolina. Su e giù da Lelgio sarebbe impossibile. In passato l’ho fatto, ma i risultati ne risentivano. Tra nuoto e scuola, ho tempo solo per studiare e allenarmi. Lo schema è semplice: nuoto, studio, casa. Ma mi piace così, è la mia vita.

Che effetto fa avere a fianco Noè Ponti, il più bravo a livello nazionale?

Siamo amici, mi aiuta, mi incoraggia quando sono giù, si pone come esempio positivo. A volte sapere che c’è lui è d’aiuto, altre invece un po’ meno, perché fare le stesse cose che fa lui e ottenere risultati diversi, addirittura opposti, può essere un po’ scoraggiante.

Gli inizi a Bissone, quali ricordi?

Tutto è partito lì. È il mio club di origine. Devo anche al mio ex allenatore se sono arrivata a questo livello. Nuotare mi è sempre piaciuto molto. Sono anche stata agevolata dai primi risultati, che sono arrivati subito. Quando sei molto giovane, l’obiettivo è la medaglia. Vincerne tante ha contribuito a farmi piacere la disciplina. Così, ho continuato con grande entusiasmo. Ora sono a Locarno. Il rapporto che ho con la squadra attuale è impagabile, forse anche perché sono cresciuta e sono più matura, Mi trovo davvero molto bene. Non che a Bissone non mi trovassi bene, ma siccome vivo il presente mi sento di dire che adoro la Nuoto Sport Locarno. È come una famiglia. È la mia società.

I quadri di Swiss Swimming.

Ci sono entrata a 13 anni. Mi hanno insegnato tante cose, ho imparato le lingue. A 13 anni viaggiare da sola, senza la famiglia, senza qualcuno che parla la tua lingua, è stato difficile. Piangevo ogni volta. Adesso è il contrario, non vedo l’ora di partire. Per la prossima stagione devo lavorare duro per entrare nei quadri. A 17 anni non sono più considerata una giovane. I tempi sono molto difficili da fare. Ma è giusto così, parliamo pur sempre della Nazionale. Vi accedono solo i migliori, bisogna meritarsela.

Il futuro?

Lo vedo ancora nel nuoto, spero di praticarlo il più possibile. Siccome di nuoto non si vive, a un certo punto gli studi avranno la priorità. Dovrò concentrarmi sulla scuola, o sul lavoro, ma c’è ancora molto tempo davanti. Ho un paio di strade che mi piacerebbe imboccare, ma sono una molto diversa dall’altra... Non mi pongo ancora la questione. Per almeno tre anni ancora.