Tecnologia

Che genere di informatica

Lo stereotipo della tecnologia tiene lontane le donne dall’informatica. Le spiegazioni della professoressa Monica Landoni e della dottoranda Irene Zanardi

Dietro al computer, il cliché
(Depositphotos)

Come vi immaginate una persona che lavora con i computer? Molto probabilmente si tratta di un uomo con la barba e i capelli spettinati – almeno, questa è la classica immagine che ritroviamo nei disegni realizzati da bambine e bambini. Il “Draw a Scientist Test”, con le varianti per varie figure professionali tra cui appunto quelle legate all’informatica, è un esperimento che viene utilizzato da decenni per studiare la presenza di stereotipi di genere nei più piccoli e rappresenta uno strumento prezioso per monitorare come cambia nel tempo la percezione delle professioni scientifiche.

Lo sbilanciamento di genere non lo troviamo solo nei disegni di bambine e bambini: l’informatica, come molte altre discipline scientifico-tecnologiche, è prevalentemente maschile, sia in ambito lavorativo che in quello accademico. Ritroviamo sia quella che gli esperti chiamano “segregazione di genere verticale”, con il numero di donne che si riduce sempre più man mano che si sale nella gerarchia aziendale o accademica, sia quella orizzontale con la tendenza di uomini e donne a lavorare in differenti settori: lo sviluppo del software è ad esempio quasi esclusivamente maschile – le donne sono meno del 10%, secondo una recente indagine –, mentre in altri campi, quali le scienze naturali, matematica e statistica, per esempio, vi è una presenza femminile maggiore, prossima all’equilibrio tra i generi.


Nell’immaginario, come nella realtà

Non è un problema solo femminile

Quando si parla di disparità di genere si tende a pensare che sia un problema solo femminile – con il corollario che a proporre soluzioni debbano essere le (poche) donne presenti in questi settori prevalentemente maschili. Non è così: gli stereotipi di genere possono rappresentare un problema anche per gli uomini, confrontati come le donne con aspettative rigide su come comportarsi, quali emozioni esprimere e quali ruoli sociali assumere; inoltre numerosi studi mostrano che la diversità contribuisce a creare ambienti lavorativi più sereni, innovativi e produttivi, a vantaggio quindi di tutte e tutti.

Superare, nel campo dell’informatica come in altri settori, le disparità di genere è – o dovrebbe essere – una priorità. A questo tema lavorano Monica Landoni, professoressa della Facoltà di scienze informatiche dell’USI insieme alla dottoranda Irene Zanardi con il progetto di ricerca Tadaa (Tools for Assessing and Developing Affecting & Attractive Narratives for Girls in Informatics), finanziato dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica e dal programma europeo Eugain.

Tecnologia a misura d’uomo

Spesso si afferma che la tecnologia è neutrale e che tutto dipende da come viene utilizzata. In realtà, per quanto riguarda la prospettiva di genere, gli strumenti tecnologici che utilizziamo tutti i giorni incorporano aspetti che non sono affatto neutrali ma hanno una marcata prospettiva maschile, data la scarsità di donne tra progettisti, tester e valutatori. È stato ad esempio osservato che i software di riconoscimento del volto siano meno efficaci con le donne (e con le persone non bianche), mentre gli smartphone sono pensati per mani maschili, in media più grandi di quelle femminili; inoltre i riconoscitori vocali sono allenati su voci maschili, più basse e profonde e faticano a riconoscere quelle femminili più acute.

Il circolo vizioso degli stereotipi

Sono numerosi i fattori che portano al perpetuarsi di questo sbilanciamento di genere, ma una parte importante è senza dubbio dovuta agli stereotipi di genere che influenzano la scelta degli studi e della carriera lavorativa. Se l’informatica e più in generale la tecnologia sono viste come qualcosa di “maschile”, sarà più difficile per una bambina interessarsi ad esempio alla programmazione e preferirà un percorso di studi maggiormente vicino a quelle che ci si aspetta siano le sue capacità. E il fatto che poche donne scelgano di studiare informatica non fa che rinforzare questo stereotipo, dal momento che l’assenza di modelli di riferimento femminili è uno dei fattori che può portare una ragazza a decidere di non studiare informatica o di lavorare in altri settori. Un altro elemento molto importante è rappresentato dall’incoraggiamento, soprattutto da parte di figure maschili.

Paradossalmente, questo circolo vizioso del pregiudizio si indebolisce soprattutto in società apparentemente meno attente alla socialità: la mancanza di un solido sistema di welfare spinge infatti le ragazze a puntare su carriere con buone prospettive di guadagno, prediligendo quindi carriere tecnico-scientifiche rispetto a quelle umanistiche o legate alla cura che sono tradizionalmente considerate più femminili. In Stati dove invece il welfare è maggiormente sviluppato si avverte meno l’esigenza di scegliere carriere remunerative; pertanto per rompere il circolo vizioso dello stereotipo occorre intervenire tramite incentivi, come ad esempio accade da alcuni anni nei Paesi scandinavi. In Svizzera abbiamo solo alcune iniziative isolate come il mentoring per studentesse di scuola media e liceo organizzato dall’Accademia svizzera delle scienze tecniche (Satw) tramite il programma TecLadies al quale partecipa anche l’Università della Svizzera italiana.


La grazia, la cura, la donna?

L’origine degli stereotipi

Qual è l’origine di questi stereotipi di genere legati all’informatica? Per capirlo torniamo al “Draw a Scientist Test”. Un recente studio realizzato dall’USI in collaborazione con l’Università di Trondheim in Norvegia, ha rilevato che, soprattutto nei primi anni di scuola elementare, vi sono pochi stereotipi di genere relativamente all’informatica. Lo studio è stato realizzato nell’estate del 2022 coinvolgendo qualche centinaio di bambine e bambini del Norditalia ai quali è stato chiesto di “disegnare una persona che lavora nel ramo dello sviluppo del software”. Questo risultato è probabilmente dovuto alla maggior familiarità con la tecnologia soprattutto in ambito scolastico, favorita anche dalle soluzioni di didattica a distanza adottate durante la pandemia. Tuttavia al crescere dell’età si nota un aumento degli stereotipi di genere con una maggior presenza di programmatori rispetto alle programmatrici, e questo in particolare tra le bambine.

Evidentemente qualcosa, a scuola o in famiglia, ha ridotto la fiducia delle bambine nelle proprie abilità tecnologiche.

Affrontare i pregiudizi inconsci con lo storytelling digitale

Questo “qualcosa” che insegna gli stereotipi di genere ai bambini e, soprattutto, alle bambine sono molto probabilmente dei pregiudizi inconsci, definiti “bias”, sulle abilità tecnologiche di maschi e femmine, con i primi naturalmente portati a utilizzare computer e dispositivi elettronici. Così se, a scuola, viene dato un computer a un bambino è perché lui è bravo, magari naturalmente portato, a usarlo, mentre se a poterlo usare è una bambina lo avrà ricevuto perché lo tratterà con cura.

Il primo passo per affrontare questi bias è essere consapevoli della loro esistenza, in modo da prestare maggiore attenzione e correggere comportamenti apparentemente neutri. Ci sono diverse attività che si possono svolgere; una di queste, che si è rivelata molto efficace, prevede di presentare alcune schede incomplete di alunne e alunni, ponendo successivamente alcune domande per vedere in base a quali assunzioni implicite vengono completate le informazioni mancanti. Perché, in quella scheda in cui non viene specificato il genere, si suppone che sia un maschio ad amare il calcio e i videogiochi?

Con bambini e bambine, invece, un’attività che si è rivelata molto utile è l’impiego di strumenti di “storytelling digitale”, ovvero la creazione di narrazioni multimediali da parte di bambine e bambini. Queste attività permettono di partire dagli stereotipi presenti nelle fiabe tradizionali o in altre storie e di superarli ricorrendo a soluzioni quali l’attribuzione casuale, tirando un dado o lanciando una moneta, delle caratteristiche dei personaggi e del loro ruolo nella storia, andando oltre le principesse belle e passive e cavalieri forti e decisi. La creazione di storie guidata da questi meccanismi aiuta a mettere in discussione gli stereotipi e a promuovere un’immagine più inclusiva e variegata delle capacità di ognuno.

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