Pandemia, come l’hanno vissuta i postini? Aspettando Pupo al Palacongressi (e le prossime elezioni), riflettori puntati sulla basilica del Sacro Cuore
A non tutti piace l’idea di una fermata Tilo a Minusio. E fra questi c’è anche l’ex municipale e vicesindaco Tiziano Tommasini, che si dice pronto («qualora ci dovessero essere i dovuti riscontri») a lanciare un referendum contro il doppio credito avallato dal Consiglio comunale per la realizzazione della fermata (550mila franchi) e la sistemazione di via Verbano (342mila franchi).
Il viaggio lungo i due anni della pandemia oggi... suona due volte. L’obiettivo odierno si punta sulla realtà del postino, delle difficoltà riscontrate da chi, lockdown o meno, non ha mai smesso di lavorare. Uno slalom tra le toilette dei locali pubblici chiusi e l’aumento di pacchi.
Con il progetto del nuovo presbiterio è un po’ come se il cerchio si chiudesse alla basilica del Sacro Cuore, a cento anni dalla posa della prima pietra. Di questo intervento e di altro ancora parliamo nell’edizione di oggi con il parroco don Italo Molinaro,
Lui è Enzo Ghinazzi. Ma ai più è noto come Pupo, e stasera sarà sul palco del Palacongressi di Lugano (con ‘replica’ domani al Volkshaus di Zurigo) per portare in scena i suoi 40 anni (ormai lievitati a 42 causa pandemia) di ‘Su di noi’. E in attesa di vederlo sul palco, l’abbiamo incontrato per quattro chiacchiere e qualche chicca. Come quella legata alla scelta del suo nome d’arte: «Solo una volta lo rinnegai, nel ’92 a Sanremo, quando mi presentai col mio nome all’anagrafe e mi accorsi subito, appena Pippo Baudo mi presentò come ‘Enzo Ghinazzi per la categoria dei Big’, che sulle facce degli spettatori in platea, mi si perdoni la schiettezza, si
leggeva "ma questo chi c**** è?". Lì capii che avevo fatto la più grossa delle sciocchezze della mia vita».
Quattordici mesi alle prossime Elezioni cantonali. Quattordici mesi di melina? O, per dirla con le parole di Jacopo Scarinci nel commento odierno, di "palude"? Il rischio che l’ultimo anno di Legislatura sia segnato dall’immobilismo è più concreto che mai, specie in coda a due anni segnati dalla pandemia. Indizi in questo senso, del resto, se ne sono già visti nelle ultime sessioni del Gran Consiglio. "Una palude che il Ticino non può permettersi, ma nella quale buona parte della politica sta finendo dentro fino alle ginocchia", osserva il commento.