A decidere sul futuro del marchio del cioccolatino nato dall'abbraccio del cacao con le nocciole potrebbe essere infatti Zurigo e non Torino
Giandujotto made in Italy? Anche no. Almeno non più. A decidere sul futuro del marchio del cioccolatino nato dall'abbraccio del cacao con le nocciole infatti potrebbe essere Zurigo e non Torino. Il gruppo svizzero Lindt & Sprüngli si è opposto al disciplinare di riconoscimento Igp presentato al ministero dell'Agricoltura italiano da un gruppo di aziende del cioccolato, dalle grandi come Ferrero, Venchi, Domori, Pastiglie Leone fino ai cioccolatieri come Guido Gobino, Guido Castagna, Giorgio e Bruna Peyrano. E lo ha fatto rivendicando l'invenzione del giandujotto, che risale al Carnevale del 1865 per mano di Caffarel, storica azienda torinese di Luserna San Giovanni acquisita nel 1997 dal gruppo elvetico.
La crisi diplomatica – come riporta il ‘Corriere della Sera’ – è esplosa sul palco di CioccolaTò, la grande festa del cioccolato che si tiene ogni anno nel capoluogo piemontese. Tra le richieste, definite inaccettabili dal gruppo svizzero, quella di “inserire nel disciplinare il latte, ingrediente utilizzato solo dall'industria, perché il vero giandujotto è fatto solo con tre ingredienti: nocciola, zucchero e massa di cacao”, hanno rimarcato i fautori della ricetta sabauda.
Il progetto per l'Igp del giandujotto torinese è nato nel 2017. Dal palco di CioccolaTò l'Italia ha chiesto aiuto alla Città e alla Regione «per fare rete e ottenere il riconoscimento dall'Europa». Anche perché «oggi il giandujotto – hanno sottolineato – vale 200 milioni di euro all'anno» e «un gruppo svizzero non può far naufragare un progetto europeo».