L’incontro, organizzato da Boas Erez, dedicato alla riflessione sulla gestione della pandemia si è rivelato parziale e inconcludente
Giovedì sera all’Università della Svizzera italiana si è tenuto un dibattito sulla gestione della pandemia di coronavirus che è stato semplicemente imbarazzante. L’obiettivo dell’incontro pubblico era pienamente condivisibile: l’organizzatore e moderatore Boas Erez – professore, ex rettore, ex candidato progressista della società civile al Consiglio di Stato e tante altre cose – da una parte voleva riprendere la tradizione della “lectio e disputatio” che, in termini moderni, potremmo riassumere come “dibattito aperto e costruttivo”; dall’altra discutere di quella che è stata efficacemente definita “era Covid”, per riflettere su come è stata gestita questa situazione di emergenza, tentando anche una riconciliazione (termine esplicitamente utilizzato da Erez) tra le diverse posizioni che si sono create all’interno della società.
Siamo certi per ingenuità e non per malafede, ma ciò a cui si è assistito, più che una lectio e disputatio della tradizione universitaria medievale, ricordava una delle altercatio che si tenevano, alla fine delle lezioni, nelle taverne, ovviamente senza duelli conclusivi per decidere chi avesse ragione ma con la stessa inconcludente contrapposizione di opinioni poco argomentate. Insomma, più che “Lezioni della gestione del Covid” – come recita il titolo dell’incontro di giovedì – sono state “chiacchiere della gestione del Covid”.
Un primo errore, ripetiamo commesso certamente per ingenuità, è stata l’impostazione della serata, di fatto la presentazione di un libro che si distingue non solo per l’approccio fortemente critico verso la gestione della pandemia e il ruolo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ma anche per diverse interpretazioni non proprio coerenti con i fatti: se ne è avuto un piccolo assaggio durante l’incontro, con una citazione isolata da una ricerca sulla sicurezza dei vaccini in gravidanza che afferma l’esatto contrario di quanto riportato. Il libro, tradotto in italiano da HelvEthica, è ‘WHO cares? La politica svizzera durante la pandemia e l’influsso dell’OMS: una posizione scientifico-divulgativa’, autopubblicato – forse per sfiducia verso l’editoria ufficiale – da Konstantin Beck, professore di economia delle assicurazioni all’Università di Lucerna.
La tradizione della disputatio, ma anche quella dei moderni seminari universitari, prevederebbe di affiancare a Beck dei “controrelatori” su posizioni diverse: non così giovedì sera quando, oltre al moderatore chiaramente (e legittimamente) di parte, era presente anche Serena Tinari, giornalista d’inchiesta sostanzialmente concorde con Beck, con unica voce fuori dal coro quella di Emiliano Albanese, professore di salute pubblica all’Usi che di fatto non è neanche riuscito a concludere il suo intervento, vista la diffidenza del pubblico che ha contestato anche nozioni base di epidemiologia come il fatto che più una malattia è infettiva più persone si contagiano. Non un dibattito alla pari e basato sui fatti, ma una parte che grazie anche alla simpatia del pubblico ha sommerso l’altra con una montagna di tesi parziali, spesso sostenute solo da commenti sarcastici, a cui risultava impossibile, per questioni di tempo, fornire una risposta nel merito.
Tesi che – arriviamo così a un altro errore, o ingenuità, dell’incontro – spaziavano su argomenti molto diversi: certo, la gestione della pandemia è stata complessa e a temi prettamente scientifici, come la contagiosità di un nuovo virus e l’efficacia delle misure non farmaceutiche, si affiancano altre questioni come il finanziamento delle aziende farmaceutiche, la comunicazione scientifica e sanitaria, il ruolo del giornalismo, la gestione della disinformazione da parte di media digitali, i processi democratici e altro ancora. Ma pretendere di affrontarli tutti insieme, senza peraltro avere persone competenti in sala, rende l’evento una discussione da bar, non un dibattito universitario.
Un’occasione sprecata, perché se c’è una cosa su cui si può concordare con Boas Erez, è proprio l’importanza di una riflessione pubblica sulla gestione della pandemia di coronavirus, anche in vista di future emergenze sanitarie che – era uno dei punti che Emiliano Albanese aveva cercato di affrontare – in un mondo sempre più popolato e globalizzato è inevitabile si ripresentino. Per questo speriamo che si faccia tesoro dei limiti dell’incontro per organizzare altri appuntamenti, dedicati a specifici argomenti, coinvolgendo anche le numerose competenze, ad esempio sui media o sul diritto, presenti all’interno dell’Università della Svizzera italiana.