Qualche pensierino su cosa potremmo aspettarci, adesso che Trump è fuori dalla Casa Bianca e abbiamo un 78enne e una donna a lavorare in tandem
Joe Biden è un appassionato di vecchie automobili: quando le guardie del corpo glielo permettono, ama sgommare con la sua Corvette Stingray del 1967. Suo padre, d’altronde, sbarcava il lunario vendendo auto usate. Ma al nuovo presidente americano tocca ora il volante di una giardinetta ben più ammaccata, fatta di pezzi che non combaciano e guidata per quattro anni da un incosciente; chissà cosa troverà nel bagagliaio. L’America si trova al centro di disgrazie come non se ne vedevano da generazioni: la crisi sanitaria, quella economica, ma anche gli scontri razziali e i problemi climatici che mandano a fuoco intere regioni.
Il piano del nuovo presidente segue due direttrici: disfare tutto quello che ha fatto il predecessore – dalle politiche contro l’ambiente a quelle contro l’immigrazione – e introdurre al più presto un programma di rilancio economico da quasi duemila miliardi. Un programma finanziato col debito, ma anche aumentando le tasse ai più ricchi e alle grandi aziende, in cambio di sgravi e aiuti al ceto medio e ai poveri. D’altronde, ancora una volta la crisi mostra come le politiche keynesiane siano state liquidate con troppa fretta. Ad aiutare la nuova agenda, oltre alla risicata maggioranza al Congresso, potrebbe essere lo smarrimento di un partito repubblicano diviso e sconcertato dal teppismo di Donald Trump. A essere diviso e sconcertato è però anche il Paese: per cercare di “riunificarlo” – una delle parole-mantra della transizione – Biden punta molto sulla pacatezza, ma anche sulla varietà delle minoranze etniche e sociali rappresentate nella sua amministrazione. Un modo anche quello per parlare a realtà che invece spesso non s’intendono tra di loro.
Fondamentale sarà naturalmente anche il ruolo di Kamala Harris. Non solo perché prima vicepresidente donna e nera, ma perché il suo ruolo di ago della bilancia in Senato le darà un grande potere nel manovrare il legislativo attraverso le riforme. Resta da vedere se saprà bilanciare questa posizione à la Lyndon Johnson con le sue stesse ambizioni presidenziali. Così come bisogna ancora capire come funzionerà il rapporto di delega col 78enne Biden, il presidente eletto più anziano di sempre.
Ci si chiede anche cosa cambierà per l’Europa. E qui tornerà forse in aiuto il modello di Barack ‘No-drama’ Obama: un presidente che non concepisce la relazione transatlantica come pura concorrenza, e soprattutto non spinge per dividere il continente con la sua retorica (cosa che Trump aveva fatto manovrando specchietti per le allodole non solo verso Londra, ma anche verso Berna. Eppure lo stiamo ancora aspettando, l’accordo di libero scambio.) Questo non deve però farci pensare che sarà una relazione semplice: in un mondo multipolare, nel quale cresce la potenza cinese, il campo di battaglia europeo è ormai da decenni di secondaria importanza. Né il recente mega-accordo tra Bruxelles e Pechino renderà felice un presidente americano, repubblicano o democratico che sia. Anche la Nato e la partecipazione ai costi di difesa resteranno problemi aperti. La distensione delle relazioni potrebbe presto diventare indifferenza, specie se l’Europa non sconfiggerà da sola il nemico che la divora dall’interno: quello del ‘prima i nostri’ e dello sciovinismo nazionale. Ma visti gli ultimi quattro anni, vale la pena ripetere quel che cantavano i Monty Python sul Calvario: “Always look on the bright side of life”.