laR+ L'analisi

I colori di Kamala Harris e quelli dell'America

Il partito democratico punta sulla candidata per assicurarsi la Casa Bianca e ritrovare unità

18 agosto 2020
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Niente coriandoli, palloncini, bancarelle di gadget e T-shirt, niente odore persistente di patatine fritte, hamburger e hot-dog. Niente fanfare e ola festanti. Niente celebrazioni. Formalmente la Convention apertasi ieri si svolge a Milwaukee, capitale del Wisconsin, Stato elettoralmente cruciale che la sciagurata candidatura di Hillary Clinton aveva consegnato quattro anni fa a Donald Trump. Di fatto è Zoom, la piattaforma online gonfiata dal confinamento, ad ospitare i 4000 partecipanti.

Il Covid-19, con la sua scia di 170mila morti nel Paese, lascia tutti a casa, a cominciare dal protagonista Joe Biden, mestamente costretto a pronunciare il suo discorso di investitura, giovedì, dalla sua casa di Wilmington, Delaware. Prima di lui, in un crescendo che non lascia dubbi su popolarità ed equilibri all’interno del Partito Democratico, interverranno domani tra gli altri Barack Obama, la senatrice Elizabeth Warren e Kamala Harris, la star di questi ultimi giorni, la senatrice su cui ormai sono puntati tutti i riflettori.

Il partito è deciso a rimarginare le ferite profonde apertesi quattro anni fa: a una Clinton divisiva e invisa alla base progressista (nessuno in pratica manco si ricorda il nome del suo braccio destro, candidato alla vice presidenza), succede un team che si presenta coeso: piattaforma progressista come mai prima d’ora (fiscalità, ambiente, assicurazione malattia, salario minimo), candidati - sia Biden sia Harris- espressione del centro moderato. Compromesso tra le diverse correnti che si sono date battaglia nelle primarie e che, senza eccezioni, hanno siglato un patto di non belligeranza per non lasciar scampo al nemico da abbattere.

Il vento sembra tirare dalla parte giusta, e anche per questo Donald Trump con accenti golpisti da sbalestrato caudillo a capo di una repubblica delle banane, attacca ora disperatamente, minando finanziariamente i servizi postali nazionali (Usps) il voto per corrispondenza foriero - stando alla sua visione complottista- di massicci brogli. Alle corde (ma non ancora politicamente morto) il Commander-in-cheat (il gioco di parole coniato dagli oppositori, che sta per “presidente imbroglione”), ai democratici preme ora soprattutto presentarsi come il partito in grado di unire un paese spaccato da quattro anni al vetriolo politico.

Di questa America che vuole ritrovare una certa giustizia, slancio e ideali, Kamala Harris, sembra rappresentare l’emblema. A 100 anni esatti dal suffragio universale, il quarto tentativo di avere una donna alla Casa Bianca (come presidente o vice) potrebbe essere quello buono. Nella sua identità multipla, oltre alle donne, potrebbero identificarsi in molti. Si presenta in primis come “black” ma è per metà indiana (singolarmente anche Obama è considerato unicamente nero, pur avendo madre bianca), è come tantissimi americani figlia dell’immigrazione, è aperta alle diversità di genere (nel turbinio degli eccessi siamo ormai a una trentina più o meno riconosciute negli Stati Uniti), proviene da uno Stato, la California, che tende a guardare più al futuro che al passato. Altre donne, da Elizabeth Warren (che ambisce al Tesoro), a Amy Klobuchar (a cui andrebbe la Giustizia) fino alla combattiva Nancy Pelosi (attuale e presidente della Camera) sono in trincea per cacciare Trump e dare al paese un senso, una nuova identità politica, ma soprattutto culturale, sociale, ideale.