L'analisi

Idioti governano ciechi

La cecità nostra e la mediocrità della politica stanno corrodendo la democrazia liberale

Keystone
3 settembre 2018
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Con questo contributo Andrea Ghiringhelli ci invita a riflettere, partendo da alcuni fatti recenti – la promozione di un agente di polizia condannato per discriminazione razziale e il lacerante dibattito sulla nave Diciotti –, su alcuni segni premonitori di una deriva verso quello che Umberto Eco definì ‘fascismo eterno’ che ‘è intorno a noi, talvolta in abiti civili’. E che va riconosciuto per tempo.

I nostri padri, quelli che hanno ancora nella memoria la follia assassina delle dittature fasciste, ci comandavano di restare ben saldi a difendere lo Stato democratico e liberale: rappresenta – precisavano – “il migliore dei mondi possibili” perché ci assicura governi eletti dai cittadini, ma con un limite non negoziabile: alla volontà popolare non è concesso, in alcun modo, di calpestare i diritti umani e le libertà fondamentali, i pilastri inamovibili su cui si regge la grande civiltà della democrazia liberale. La Costituzione federale, all’articolo 7, ne condensa la finalità ultima in modo secco e perentorio: “La dignità della persona va rispettata e protetta”.

La deriva della democrazia

Sul finire del secolo scorso, la democrazia liberale sembrava un traguardo definitivo, a tal punto che nel 1989, poco prima della caduta del muro di Berlino, il politologo americano Francis Fukuyama annunciò la “fine della storia”. Voleva dire, in parole semplici, che con il fallimento dei regimi comunisti l’ideologia liberaldemocratica aveva vinto ed era destinata a conquistare il mondo. Non fu così.

Apparentemente oggi la democrazia è sulla cresta dell’onda e tutti la reclamano ad alta voce, ma la destra populista la vuole e la intende a modo suo: la sovranità popolare è quella che conta, si pone al di sopra di tutto, e non deve essere limitata in alcun modo dai diritti degli individui. E infatti la destra populista si scaglia contro i migranti, esalta le identità, rifiuta la diversità, riesuma e attizza l’odio razziale: i diritti fondamentali sono orgogliosamente violentati e violati in nome del sovranismo (che evoca sia la sacralità delle frontiere a protezione della nazione, sia l’ostilità ai vincoli giuridici dell’Unione europea: la versione cantonticinese, che combina protezionismo e regionalismo, è il primanostrismo).

Alle soglie della democratura

Viktor Orbán è il campione riconosciuto di questa versione populista di democrazia, che lui stesso ha definito “illiberale”: in nome della “difesa della madrepatria”, contro coloro che “vogliono riempire la nostra terra di migranti” proclama l’avvento del regime che fa da argine contro gli stranieri, i diversi, i nemici della nazione. L’esaltazione della democrazia “autentica” diventa paradossalmente il pretesto per conculcare le libertà e la dignità delle persone: e allora parliamo di democratura, ossia di una democrazia formale che maschera un autoritarismo sostanziale: Erdogan, Orbán, Putin i capofila, ma anche alle nostre latitudini si fanno strada gli emuli entusiasti. In Italia, il ministro Salvini si è sentito autorizzato a calpestare la Costituzione italiana in nome della nazione e del popolo sovrano: l’episodio dei migranti, bloccati nel porto di Catania, è stato l’espressione della cinica disumanizzazione della politica che considera l’essere umano un mezzo e non un fine; uno spettacolo indegno e pure minaccioso perché ha raccolto il plauso di una fetta cospicua di cittadini arrabbiati e delusi: che gridano allo scandalo perché la magistratura indaga e ritiene che anche per la politica valga il rispetto della Costituzione italiana.

La democrazia liberale colpita e quasi affondata

La democrazia “illiberale” sta guadagnando spazio e consensi. Questo scivolamento verso nuove forme di autoritarismo – perché di questo si tratta – è per una buona parte il frutto di una rapida perdita di memoria delle tragedie del secolo scorso. Lo conferma un recente sondaggio: un numero ragguardevole di giovani nati a cavallo del 2000 dà poco credito alla democrazia e ritiene le alternative autoritarie un’opzione praticabile, addirittura auspicabile. Ma principalmente vi è la colpevole condiscendenza dei partiti storici, per gretto pragmatismo o, peggio ancora, per convenienza e opportunismo: invece di difendere e combattere a viso aperto la deriva populista, i partiti vi si adeguano, l’assecondano, cercano di imitarla negli stili, nel linguaggio politico e perfino nelle scelte strategiche di governo: siamo entrati nell’era della popolocrazia, ci dicono alcuni studiosi.

La vergogna ticinese

Il dato inquietante è che mentre i partiti si suicidano con la complicità di cittadini ciechi, la democrazia liberale soffre, indietreggia e lascia campo a nuove pericolose tentazioni, quelle appunto della democrazia illiberale. La mediocrità della classe politica, contraddistinta da un incipiente analfabetismo morale e civile, si avverte anche da noi ed è illustrata dalla reazione della politica di fronte a tanti, piccoli episodi. Uno per tutti: il comportamento di un esponente della polizia ticinese che a più riprese ha professato via Facebook la sua fede nelle prove fornite da Hitler e Mussolini e ha invitato, manganello in pugno, a buttar fuori i “maiali”, i migranti dal nostro paese.

L’apologia del fascismo e del nazismo in altri paesi prevede la galera, e la pena è aumentata se il reato è commesso con strumenti informatici: da noi il reato è stato purgato con una pena pecuniaria sospesa, e poi in seguito vi è stata una promozione. Una decisione che lascia attoniti perché palesa l’incongruenza dell’atto e la totale incapacità di cogliere la gravità del reato: il protagonista ha dileggiato l’articolo 7 e ha fatto strame del Titolo secondo della nostra Costituzione, ha reiterato un’opinione che esprime una convinzione radicata nella sua testa, e cosa si fa? Lo si promuove e gli si affida la tutela della sicurezza dei cittadini, di tutti i cittadini, anche di quelli che lui vorrebbe eliminare. E i partiti? Salvo qualche eccezione, il silenzio! Un assordante silenzio! E il governo? Il silenzio! Un assordante silenzio! Silenzi tanto più inqualificabili e paradossali perché quando si trattò di dare addosso a una deputata accusata di aver violato la legge per aiutare dei povericristi in cerca di dignità umana, lo strepitio dei partiti maggiori fu un frastuono e qualcuno contemplò la pubblica gogna; e ora, di fronte alla conclamata apologia di fascismo e nazismo tutti zitti, e addirittura qualche maldestro tentativo di giustificarne l’operato.

Lo sdoganamento della figura di merda

Mi vien da dire che situazioni di questo genere danno ragione alla tesi di Niccolò Ammaniti, illustrata con una locuzione cruda ma efficacissima, secondo cui ormai abbiamo perso la salutare capacità di vergognarci perché c’è stato “lo sdoganamento della figura di merda”. In questi anni è lunga la lista dei politici che imperterriti, pur cumulando comportamenti inadeguati, hanno continuato a rivendicare il loro posto al sole, senza pudore alcuno, nonostante rientrino nella categoria degli sdoganati per demeriti acquisiti. Diceva Norberto Bobbio che non si chiede a nessuno di giustificare la sua presenza a una riunione obbligatoria, ma semmai gli si chiede di giustificare l’assenza a una riunione obbligatoria. Ecco, ci sono dei cittadini responsabili e preoccupati che chiedono al governo e ai partiti di giustificare la loro condotta che mi pare un’eloquente resa al populismo e al calcolo di bottega: silenzio, o tutt’al più qualche balbettio giustificatorio poco convincente. Sono questi atteggiamenti che fanno da breccia alle cattive tentazioni.

Il fascismo in abiti civili

Il poliziotto che fa l’apologia del nazismo e della separazione razziale, la svastica esibita sui muri della Capitale, lo spregio verso le libertà costituzionali sono alcuni segni premonitori di una deriva verso quello che Umberto Eco definì, nel 1997, il “fascismo eterno” che “è intorno a noi, talvolta in abiti civili”, ed è bene riconoscerlo per tempo. È una nuova forma di fascismo che, a differenza del passato, non vuole abbattere la democrazia, ma addirittura la esalta come strumento per conculcare i diritti individuali e lo Stato di diritto: contro i migranti, gli stranieri, gli altri, i diversi. Riprendo l’articolo 7 della Costituzione federale: “La dignità della persona va rispettata e protetta”. Già, ma chi prende l’impegno se la politica latita? E allora l’amaro monito di Shakespeare – che fa da titolo a questo contributo – ha un’attualità dirompente. Non possiamo generalizzare, ma certo la propensione dei cittadini ad affidare le sorti dei paesi a un discreto numero di imbecilli – quelli che riducono la politica a una questione di “governance”, quelli che convivono con la categoria dei rozzi e degli incolti, quelli che la dignità umana e le libertà sono un optional, quelli che le elezioni sono vicine e certi argomenti è bene evitarli, quelli che i cittadini votino e poi si scansino – è in rapida espansione. Il filosofo Alain Deneault ha parlato di mediocrazia come regno del conformismo e della mediocrità. Purtroppo il tempo gli sta dando ragione. E forse il peggio non è ancora giunto.