Rieccoci di fronte al miracolo economico ticinese interamente compiuto: il meccanismo di ridistribuzione regressiva della ricchezza è in piena forma
Christian Vitta lo sa e lo ha ribadito a più riprese: in Ticino il versamento “medio” di due quote degli utili della Bns può essere considerato alla stregua di un’entrata strutturale. Ed è del tutto logico che così sia per un cantone facente parte di un Paese esportatore netto di servizi finanziari e detentore del monopolio per l’emissione della valuta rifugio per antonomasia: il franco svizzero. Straordinario o anomalo invece è stato il biennio appena trascorso in cui la Banca nazionale non ha distribuito alcun dividendo a Confederazione e Cantoni (parole di Vitta pure queste). Qui si potrebbe riaprire il discorso delle scellerate scelte di politica monetaria compiute dall’istituto ora presieduto da Martin Schlegel che hanno provocato una tale “siccità”, ma il tema è già stato sviscerato in lungo e in largo su queste colonne ed è stata la stessa Bns di recente (mentre correva ai ripari dimezzando in una sola mossa il costo del denaro) ad aver ammesso – tacitamente – di essersi sbagliata.
Fatto sta che in Svizzera, tenuto conto del ruolo della Confederazione nelle dinamiche dell’economia mondiale, il livello di benessere sarebbe da ritenere direttamente proporzionale alla performance della Banca nazionale. Punto. Che poi gli utili o le perdite dell’istituto di emissione siano esclusivamente cosmetici, determinati soprattutto dalle oscillazioni dei mercati valutari, non fa che rafforzare il paradosso all’interno del quale ci si muove.
Per il Ticino l’ottantina di milioni in arrivo significa che il Preventivo 2025 è sostanzialmente in equilibrio. E che il famigerato Decreto Morisoli andrà a decadere automaticamente alla fine dell’anno proprio perché… verrà rispettato. Nonostante i fiumi di parole che annunciavano l’apocalisse, ecco che trascorsi i primi dieci giorni di gennaio il Cantone si ritrova con i conti “magicamente” in ordine. Incluse la diminuzione dell’aliquota sugli utili delle persone giuridiche (dall’ 1.1.2025 scesa al 5,5%) e la riduzione dell’aliquota massima dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Rieccoci, insomma, di fronte al miracolo economico ticinese interamente compiuto: ancora una volta il rodato meccanismo della ridistribuzione regressiva della ricchezza ha dato prova del suo ottimo stato di salute, sostenuto – va da sé – dall’assidua campagna di disinformazione promossa negli ultimi anni (dall’uscita della pandemia in poi) da un ampio spettro politico e mediatico che non ha perso occasione di rimarcare quanto fossero vicine al collasso le finanze cantonali.
C’è chi si ostinerà a parlare di un fatto straordinario, chi opportunisticamente tirerà in ballo la Vallemaggia, chi dirà che lo Stato spende troppo e male e che andrebbe algoritmicamente ridimensionato (vedi iniziativa ‘Stop all’aumento dei dipendenti cantonali’): ma non è questo il punto. I principali indicatori dimostrano che viviamo in un Paese con un’economia e con delle finanze sane. Il fenomeno con cui siamo confrontati si chiama, semplicemente, ciclo economico. E il compito dello Stato, si presuppone a beneficio di tutti (non solo di pochi), sarebbe quello di fungere da àncora anticiclica. Sembra però che molti non lo capiscano. Oppure che evitino di farlo per poter continuare a perseguire, imperterriti, i propri scopi…
Tra l’altro, forse prima di pensare a delle soglie quantitative di sbarramento da introdurre in parlamento, si potrebbe ipotizzare qualche misura – strutturale – un po’ più efficace: una soglia di inettitudine, per esempio.