Il killer del Ceo di UnitedHealthCare è di buona famiglia, ottimi studi, bella presenza. E bianco. Quanto lo aiuta nell’essere idolatrato da molti?
La scelta degli eroi è da sempre arbitraria. Infatti oggi abbattiamo statue di uomini venerati per secoli e poi a un certo punto caduti in disgrazia, perché sono cambiate le sensibilità o anche solo le opportunità. L’eroe di alcuni è il cattivo (gli americani lo chiamano il “villain”) nella testa di altri, basti pensare a Zelensky e Putin, Hamas e Netanyahu. Basta la sceneggiatura giusta al momento giusto e chiunque può diventare un eroe, perfino chi da sempre ne combatte uno, incarnando il Male: è successo al Joker cinematografico, ma può accadere anche nella realtà. Anzi, accade continuamente.
L’ultimo eroe mediatico si chiama Luigi Mangione, killer del Ceo di UnitedHealthCare Brian Thompson, reo di aver guidato una delle famigerate assicurazioni private americane, quelle che a suon di cavilli rovinano la vita ad assicurati che pagano salvo poi scoprire di non essere assicurati quasi mai, perché le compagnie fanno di tutto per non pagare, seguendo il motto “negare, ritardare, difendere”. Ovvero: negare che le cure di cui hai bisogno siano coperte dal tuo piano assicurativo, ritardare i pagamenti il più possibile (il che vuol dire morire per chi ha bisogno di cure immediate), difendere a oltranza in tribunale la propria posizione, esponendo il cliente a lunghe e costose battaglie legali, che per colossi che fatturano miliardi sono spiccioli e per un comune cittadino sono l’anticamera della povertà (si calcola che negli Usa circa il 40% delle dichiarazioni di “bancarotta personale” è dovuto all’impossibilità di far fronte a spese mediche).
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Un cartello di protesta contro le assicurazioni americane
UnitedHealthCare – considerata tra le assicurazioni più dedite al “nega, ritarda, sfinisci portando tutti in tribunale” – genera ricavi annui di 281 miliardi di dollari, e Thompson, il Ceo ucciso, guadagnava oltre 10 milioni l’anno. Esistono casi in cui sono stati negati rimborsi (poi rivelatisi legittimi) di poche migliaia di dollari. La gente nel frattempo è morta, o finita sotto un ponte, per questo.
La morte violenta di Thompson ha riportato a galla la rabbia per questo ignobile – e tollerato, per non dire sostenuto, da chi le regole le fa, o dovrebbe almeno farle osservare – modus operandi. Per questo Mangione è diventato per molti un eroe, con tanto di magliette (con la scritta “In questa casa Mangione è un eroe. Fine della storia”) inneggianti all’assassino che spopolano nei negozi online.
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Luigi Mangione dopo l’arresto
Bello, giovane, sorriso da spot del dentifricio, figlio di una famiglia ricca, col nome del fratello di Mario Bros e il cognome che sembra uscito dai “Sopranos”, una laurea in un college prestigioso e un periodo da assistente a Stanford, una delle università della Ivy League, Mangione piace. È il vendicatore perfetto, che non ha nemmeno bisogno di un divo di Hollywood a impersonarlo perché potrebbe già esserlo lui. Certo, la misura è colma, e da tempo. Ma una società incapace di reagire come comunità e che erge a proprio eroe il vendicatore solitario, bello e dannato, non si può più nemmeno definire tale. Possibile che l’unico strumento per difendersi dai soprusi nel 2024 sia farsi giustizia come in un saloon del vecchio West? E poi, in un’America che si preoccupa di inclusività solo quando e dove le torna comodo, siamo sicuri che se il killer fosse stato un illetterato afroamericano o un arabo spiantato e sdentato avrebbe avuto lo stesso trattamento? Sicuri che sarebbe stato un eroe e non lo spietato assassino di un “rispettabile” manager?
L’eroe è negli occhi di chi guarda. E vede riflesso almeno un pezzo di sé. O di quel che, segretamente, vorrebbe essere.
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Una delle tante maglie in vendita sul web per celebrare Mangione