Oltre all'istanza per impedire a laRegione di riferire del processo che lo riguarda, Zali prospetta una querela per il presunto reato di diffamazione
Claudio Zali ha ragione: c’è poco da ridere. Il direttore del Dipartimento del territorio, con la sua istanza dello scorso 8 agosto, non ha chiesto alla Pretura di Bellinzona di emanare un divieto nei confronti de laRegione teso a impedire la presenza del nostro giornale nell’aula penale in cui si svolgerà il pubblico dibattimento nel quale il consigliere di Stato leghista comparirà quale presunta vittima di tentata estorsione, tentata e consumata coazione, diffamazione e ingiuria. No: quanto richiesto da Zali è persino peggio, dal punto di vista della tutela dei diritti costituzionali riguardanti la libertà di stampa, la libertà di espressione, nonché il dovere di sorveglianza esercitato dai media sul buon funzionamento della giustizia. L’ex giudice e attuale direttore del Dt pretende che a laRegione, e soltanto a laRegione, venga imposto un divieto assoluto di riferire alcunché – sul giornale cartaceo e sull’edizione online – in merito al futuro dibattimento pubblico.
Ma c’è di più. Dopo l’infruttuosa udienza di conciliazione e parallelamente all’autorizzazione ad agire rilasciata al consigliere di Stato per tentare, attraverso le vie legali, di ottenere quanto da lui prospettato (cioè la censura preventiva ed esclusiva di qualsiasi articolo futuro de laRegione riguardante il sopracitato processo penale), come se tutto ciò non bastasse Zali ha prefigurato l’apertura di un altro filone penale: una querela nei confronti del sottoscritto per il presunto reato di diffamazione. Diffamazione che l’ex giudice avrebbe ravvisato nell’editoriale dello scorso 14 agosto, intitolato: ‘C’è chi dice sia meglio non parlare di certe cose’. In particolare, il passaggio ritenuto lesivo da parte del consigliere di Stato sarebbe quello in cui viene formulata una riflessione di carattere generale riferita a diversi atti del governo in cui il principio della trasparenza è lungi dall’essere rispettato (e i casi, nel frattempo, continuano ad aumentare). Una tesi, una critica se si vuole – ma che non è altro che una constatazione dettata dal buon senso – secondo la quale, c’era scritto, “quando qualcuno pretende il silenzio, soprattutto il silenzio della stampa, è perché ha qualcosa da nascondere. Perché determinate informazioni, se di dominio pubblico, potrebbero in qualche modo andare contro gli interessi di chi esercita una funzione istituzionale di altissimo livello, arrivando addirittura a mettere in discussione l’idoneità di determinate persone a ricoprire determinate cariche”.
La minaccia di una querela penale da parte di un esponente del governo nei confronti della stampa a causa di una critica sgradita (purtroppo non è Zali né il primo né l’unico a formulare un avvertimento del genere in questo periodo) costituisce a tutti gli effetti un atto intimidatorio. Il presunto tentativo di tutelare il proprio onore nei tribunali è soltanto una maschera. Sotto sotto il messaggio è un altro: guai a voi, giornalisti, ad andare avanti di questo passo. Perché non vi rilascio più dichiarazioni (già fatto); perché nessuno dei miei funzionari vi risponderà più (già fatto); perché disdico tutti gli abbonamenti del mio Dipartimento al vostro giornale (già fatto); perché vi denuncio (a questo punto siamo). Perché in questo “nostro” Ticino – pare, pensino alcuni – fareste meglio a non parlare di certe cose.
Claudio Zali ha proprio ragione: c’è poco da ridere.