Con le continue, inarrestabili predazioni del lupo, Heidi è oltre l'orlo di una crisi di nervi e si trasforma in Cappuccetto rosso
Nella sua attuale trasfigurazione valmaggese Heidi non è più la ragazzina con l’iconico caschetto corvino, lo sguardo furbo e un largo sorriso disarmante. Oggi assume le sembianze di una vecchia inacidita dalla vita, che da due strette fessure scruta carcasse animali: sono le caprette che nella favola originaria rincorreva su grandi prati inondati di sole. Del loro saluto rimane un belato disperato alla vista del lupo, che inesorabile le ha raggiunte, braccate e sbranate, o orrendamente ferite, mutilate, e abbandonate agonizzanti laddove qualcuno ne ritroverà i resti per raccoglierli, o solo piangerli in un doloroso lutto.
In questa favola moderna i terreni di pascolo sono superfici brulle e rocciose dove gli ovini riparano. Là il predatore non può arrivare, ed è su quelle creste che il contadino, ogni mattina, deve andare a recuperarle. Digiune e spaventate, riprenderanno a mangiare soltanto con il conforto di una stretta sorveglianza umana. L’alternativa – lo sanno loro e lo sa l’uomo – è la sistematica stabulazione dentro spazi dove non c’è traccia dell’erba fresca, dei fiori, dei nutrimenti che rendono speciali il latte e i suoi prodotti. Oppure il coraggio di sfidare la sorte, le leggi di protezione, per ancora respirare l’illusione di una scelta che non è più data.
Come Heidi, anche il nonno e l’amico Peter non sono più loro. Del pacioso, rassicurante anziano è rimasta solo la grande saggezza che è oggi disincanto, amara conoscenza delle cose del mondo. Immutato è anche il silenzio, ma in questo vi sono disperazione, incapacità di verbalizzare un trauma. Il giovane pastorello ha gli occhi segnati dalla mancanza di sonno nella vigile attesa che si compia il presagio più prossimo, temuto ogni notte; ma anche quello, dilatato, di un futuro senza più libertà, che è il suo bene più prezioso, fagocitato da una realtà omologata che non può accettare. Fragile e spaesato, nella sua disperazione rivedrà quella dei molti colleghi rimasti senza più pascoli, spazzati via da un’alluvione secolare che ha tagliato in due la valle e aperto una ferita che segnerà loro e le prossime generazioni.
Poi, in una distopica mescolanza di leggende, l’Heidi invecchiata torna bambina, indossa un cappuccio vermiglio e nella sua propria nonna, inghiottita dal lupo, rivede se stessa illuminata dall’aura di un’antica tradizione. Sgranate ma vivide, le immagini scorrono come in un film: l’infanzia degli insegnamenti, il fiorire di una passione fatta di fatica, il carico degli alpi e la reciprocità con le greggi, la cura del territorio, l’arte casearia con l’ambizione di un commercio alpestre commisurato ad equilibrate ambizioni di sussistenza. Altre immagini affollano la sua mente: il candore del caglio, i polpacci doloranti, la nitidezza del cielo, una morbida carezza sull’ispido pelo caprino, cento mammelle spremute e sempre ringraziate.
All’ineffabile zenit dei ricordi, il lampo improvviso di uno squarcio, denti dilanianti, istinto puro che soverchia ed esplode, secco e violento. Alla vecchia, nel soprassalto, sembra un colpo di fucile. E la coglie un brivido di cupa speranza.