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Quello slogan ‘Dal fiume al mare’

Non solo i traballanti negoziati, ma tutto il conflitto israelo-palestinese, a cominciare dal dopo, è avvolto da una nebbia fitta. E pericolosa

In sintesi:
  • Gli Usa da una parte armano Israele, dall’altra provano a ergersi come super partes, l'Ue resta impigliata nella sua irrilevanza e il caos mediorientale non aiuta
  • La questione dei coloni non solo è irrisolta, ma Netanyahu la sta aggravando
  • La soluzione dei due Stati, la più ragionevole per la comunità internazionale, si sta sempre più allontanando
Bandiere palestinesi davanti a coloni nell’insediamento di Bet El, in Cisgiordania
(Keystone)
22 agosto 2024
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Se l’allucinante trattativa per una tregua a Gaza già sembra un gigantesco tragico risiko giocato sulla pelle di decine di ostaggi israeliani e centinaia di migliaia di palestinesi – da cui dipenderebbe oltretutto la ritorsione militare iraniana contro Israele per l’assassinio a Teheran del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, e quindi l’esplosivo allargamento del conflitto medio-orientale – nemmeno si riesce a immaginare quale inferno politico-militare potrà essere, dopo una eventuale incerta pausa, la partita finale per il ‘dopo Gaza’. Nebbia fitta.

Non esiste un piano israeliano, non si vede una sconfitta definitiva di Hamas, è finora pura ipotesi il coinvolgimento dei Paesi arabi moderati per una tranquilla “governance” della Striscia, mentre gli ayatollah eredi di Khomeini sostenuti da Mosca e Pechino faranno di tutto per tenere ben saldo quel Fronte della resistenza pro-sciita a cui affidano quella sorta di ‘cintura di sicurezza’ per tenere a freno la totale ostilità dei nemici pericolosamente più prossimi (Arabia Saudita e Israele). Magma autentico. Con l’Occidente inchiodato alle sue abitudini o paralizzanti contraddizioni: l’assai transitoria amministrazione Biden (appena e ancora tre mesi di vita) che “media” armando però l’alleato israeliano; e d’altra parte l’Europa sempre sprofondata nella sua irrilevanza strategica e nei tormenti del conflitto ucraino. Che nemmeno si avvede (meglio: finge di non vedere) di due eventi non certo di second’ordine. Avvenuti praticamente in contemporanea.


Keystone
Provocazione pro-palestinese a Ciudad Juarez, in Messico

La Corte internazionale di Giustizia che stabilisce l’assoluta illegalità di tutte le colonie ebraiche esistenti nei territori occupati (ma davvero?) proprio nel momento in cui il governo Netanyahu preannuncia il più vasto programma di nuovi insediamenti in Cisgiordania (già 700’000 i “settlers”); e la Knesset, il parlamento di Gerusalemme, che a larga maggioranza, con argomentazioni sulla sicurezza ma anche di natura religiosa, nega la possibilità che lo Stato ebraico possa accettare la creazione di uno Stato palestinese, polverizzando quel mantra dei ‘due Stati’ a cui continua a guardare la comunità internazionale come soluzione dell’atroce conflitto.

E qui cade anche una maschera, un’ipocrisia. “Palestina libera dal fiume al mare” (cioè dal Giordano al Mediterraneo, con la cancellazione di Israele) è lo “slogan d’odio”, com’è stato definito, di Hamas e dei sostenitori della causa palestinese. Ma si dimentica che la stessa parola d’ordine è utilizzata da anni sul fronte opposto: “Dal fiume al mare” è anche lo slogan a cui fanno ricorso i sostenitori di “Eretz Israel”, il “Grande Israele”, movimento messianico ostile a qualsiasi rinuncia di Giudea e Samaria, quindi a un’entità statale palestinese. Nei fatti Netanyahu ha sempre respinto la soluzione dei due Stati, mentre la parte più nazionalista del suo governo vuole la semplice annessione di Cisgiordania e Gaza, e l’espulsione del più grande numero dei loro abitanti arabi.


Keystone
Marcia per la Palestina libera negli Stati Uniti

Formalmente una differenza fra i due slogan ancora c’è. In Israele esso può essere cancellato democraticamente. A Gaza no. Ma l’evoluzione degli ultimi due decenni dice che essi sono sempre più contigui, pericolosamente sempre più vicini se non sovrapponibili. Il voto del parlamento israeliano lo conferma.