laR+ IL COMMENTO

Diritto di cronaca, dovere di critica

Ad avvicinare la nuotatrice Benedetta Pilato e Nicola Turetta, sono state le reazioni altrui alle parole con cui hanno espresso il proprio stato d’animo

In sintesi:
  • Difficile immaginare due persone più distanti
  • Criticati entrambi con una veemenza ingiustificabile
(Keystone)
3 agosto 2024
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Difficile immaginare due luoghi più distanti di una piscina olimpica e un carcere. E difficile immaginare due persone più distanti di Benedetta Pilato, nuotatrice italiana di 19 anni che ha celebrato in un’intervista post-gara la primavera della sua vita dopo un podio mancato per un centesimo di secondo e Nicola Turetta – padre di Filippo, reo confesso dell’omicidio della fidanzata Giulia Cecchettin –, un uomo di mezza età ormai destinato a un inverno perenne.

Ad avvicinarli, quasi a sovrapporli, sono state le reazioni altrui alle parole con cui hanno espresso il proprio stato d’animo: una in diretta tv, davanti a una platea di milioni di persone, ancora zuppa d’acqua, l’altro nel chiuso di un carcere durante un colloquio privato con il figlio. Criticati entrambi con una veemenza ingiustificabile e senza quel minimo di compassione che sempre bisognerebbe riservare alle vicende umane, ormai calpestata dall’esigenza di dover dire sempre e comunque la nostra, entrando in vite altrui – magari in momenti tumultuosi, delicati, inspiegabili perfino per chi li vive – con la stessa facilità con cui scostiamo una tenda.

Cecchettin ha detto al figlio che è un bravo ragazzo e che presto sarà fuori perché “non è mica l’unico, ne hanno uccise duecento di ragazze”. Cose orribili per noi che le guardiamo, le ascoltiamo da fuori. Indecenti, disumane: ognuno aggiunga l’aggettivo più indignato di cui dispone. Tutti d’accordo. Ma, per nostra fortuna, non ci siamo dentro: non sappiamo cosa dice un padre che va a visitare in carcere il figlio assassino, non sappiamo cosa pensa né quanto offuscati possano essere i suoi pensieri, per quanto sbagliati siano.

Nella speranza di non trovarci mai in quella situazione e quindi di non scoprire mai cosa diremmo, cosa penseremmo o cosa sbaglieremmo noi, dovremmo intanto tenere a mente una cosa: e cioè che le frasi di Turetta non avremmo nemmeno dovuto ascoltarle, perché non rilevanti per il processo. Quelle frasi orrende e private dentro una faccenda orrenda e pubblica non sono affar nostro. Si è sentita ferita la famiglia Cecchettin che ha tutto il diritto di essere qualsiasi cosa in questa vicenda. E di manifestarlo, se lo ritiene. Ma chi guarda dal buco della serratura, ha davvero diritto di mettere becco?

Questo discorso vale anche per l’ex fiorettista Elisa Di Francisca, esterrefatta per le lacrime di gioia di Pilato, che davanti al quarto posto se ne è uscita con sorrisi, lacrime di gioia e la frase “è il giorno più bello della mia vita”. Di Francisca è arrivata a dire “ma Pilato ci è o ci fa?”, decidendo anche come si dovesse sentire: “Ci è rimasta obiettivamente male, non è possibile che dica ‘sono contenta’. È assurda questa intervista. Non voleva andare sul podio? E che ci è andata a fare? Io rabbrividisco. Fatene un’altra di intervista per capire cosa volesse dire… io non l’ho capita”.

Strano che proprio Di Francisca, che campionessa olimpica lo è stata, non capisca quanto possa essere importante per un atleta semplicemente esserci, competere. Pilato, che a 19 anni ha già vinto un titolo mondiale, potrebbe aver visto nel quarto posto, e nel competere così da vicino con le rivali, la possibilità di batterle presto, o magari alle prossime Olimpiadi, quando avrà, ancora, solo, 23 anni. O magari era felice e basta. Che è già una risposta che non dovrebbe ammettere repliche. Certo, di questi tempi arrabbiati non c’è quasi niente – purtroppo – che indispone più di una persona felice. Figuriamoci dopo che ha perso.