Il processo di beatificazione dell’ex presidente colpito da un proiettile si è già compiuto, complice l’immagine perfetta scattata da un fotografo dell’Ap
“Solo Dio ha impedito che succedesse l’impensabile”, sentenzia Donald Trump poco dopo esser scampato all’attentato durante il comizio di Butler. Il proiettile verosimilmente esploso dal giovane T. M. Crooks lo ha leggermente ferito all’orecchio. Assassinio mancato d’un soffio. Una traiettoria spostata di un centimetro e il destino suo e del Paese sarebbero stati ben altri.
Successe qualcosa di analogo proprio lì in Pennsylvania nel lontano 1912, quando Theodore Roosevelt, popolarissimo presidente alla ricerca di un secondo mandato, durante un comizio fu colpito al petto da un proiettile. La storia si ripete ed è imbottita di presidenti, politici e candidati, feriti o morti ammazzati. Oltre a T. Roosevelt il pensiero naturalmente corre ad Abraham Lincoln assassinato, Ronald Reagan ferito, a John Kennedy ucciso a Dallas o a suo fratello Robert, candidato freddato qualche anno più tardi nel 1968 a Los Angeles.
Essere vittima di un complotto spalanca le porte al martirio e alla santità, sintetizza lo storico Douglas Brinkley. Non solo Trump non farà eccezione, ma il processo di beatificazione si è addirittura già compiuto. Complice l’immagine straordinariamente perfetta scattata da un fotografo dell’agenzia Ap. L’orecchio destro insanguinato, Trump alza il pugno, attorniato da agenti dei servizi segreti, uno dei quali porta occhiali da sole e guarda diritto verso l’obiettivo. L’ex presidente lui, mento sollevato, scruta più in alto, dietro l’apparecchio fotografico, verso la folla e… il futuro. La sua è un’aria di sfida: chi voleva ucciderlo ha fallito.
Metafora politica riuscitissima. Tra l’ex presidente-candidato, ferito ma indomito e il cielo blu terso, la bandiera a stelle e strisce. Cocktail impeccabile, immagine già diventata iconica. Il tutto con un tocco da Iwo Jima, la celebre istantanea del 1945 che ritrae dei marines mentre issano la bandiera americana sul punto più alto della piccola isola del Pacifico. “Fight, fight, fight”, urla Trump alla folla mentre viene portato via dal Secret Service: l’audio impeccabilmente sincronizzato con le immagini. Forza, risolutezza e coraggio: gli ingredienti in cui si rispecchia lo spirito dei Padri fondatori.
Proprio alla vigilia dell’apertura della Convention repubblicana, l’attentato è destinato a gonfiare la popolarità di Trump. Dramma inatteso, successo garantito. Jair Bolsonaro docet. Lo sciacallaggio politico dilaga: i democratici subito accusati dai loro avversari di aver armato ideologicamente con la loro retorica anti-Trump la mano dell’assassino. Il presidente sospende gli spot elettorali e afferma – contro la cruda realtà storica – che “in America non c’è spazio per questo tipo di violenza”. Aggiunge che “il Paese è malato”: scomoda verità questa, anche se non necessariamente pagante sul piano elettorale.
Per un po’ Butler farà dimenticare processi e guai giudiziari, menzogne ripetute, violenza verbale e ruolo del tycoon nell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. L’accecamento emotivo non aiuterà a puntare i riflettori sul legame tra il fallito attentato e la cultura delle armi promossa e difesa proprio da Trump.
A osservar bene la foto iconica di Butler, ci si accorge che la bandiera americana è in realtà quasi capovolta: nel ‘flag code’ statunitense significa pericolo di vita, richiesta di aiuto. Paese malato, sì. Ma quanti si accorgeranno che quella bandiera è rovesciata?