Sigilli ex Macello, governo e polizia sono stati richiamati a rispettare i ruoli che ogni potere ricopre (dovrebbe ricoprire) in uno Stato di diritto
Sintomo dei tempi che corrono: il giudice dei provvedimenti coercitivi (gpc) Ares Bernasconi nella decisione con cui accoglie l’istanza presentata da laRegione, tesa a ottenere una copia anonimizzata della decisione dello stesso magistrato di dissigillare la documentazione inerente alla controversa demolizione dell’ex Macello a Lugano, ha dovuto ricordare – a mo’ di premessa – nientemeno che a governo e Comando della polizia cantonale che la pubblicità della giustizia “costituisce un principio fondamentale dello Stato di diritto che permette a chiunque di assicurarsi che la giustizia sia resa correttamente, evitando l’impressione che determinate persone possano essere favorite o sfavorite ingiustificatamente dalle autorità giudiziarie”. Non solo: respingendo su tutta la linea le tesi del Consiglio di Stato e dei vertici della Polcantonale contro l’accesso del nostro giornale alla citata decisione, il gpc ha pure ricordato la giurisprudenza del Tribunale federale e cioè che “al principio della pubblicità della giustizia si affianca anche quello della libertà di informazione”.
Come se governo e polizia non lo sapessero. O forse lo sanno ma, ipotizziamo, le autorità sono troppo abituate a operare in un contesto nel quale determinate risposte e spiegazioni le forniscono solo quando fa loro comodo. Colpa del contesto, già. Ma anche dei media, che spesso si fermano prima (anche parecchio prima) senza sfruttare i margini concessi da Costituzione, Tribunale federale e Convenzione europea dei diritti dell’uomo per informare compiutamente e fungere così da controllori delle istituzioni.
A noi preme infatti conoscere, per riferirne ai lettori, i motivi per cui il gpc, dando seguito all’istanza del pg Pagani, ha levato i sigilli a carte che le forze dell’ordine volevano tenere segrete. Circostanza non di poco conto, visto che la polizia è chiamata a collaborare con il Ministero pubblico. Anche in questo caso, a maggior ragione in questo caso, c’è per i giornalisti un dovere di cronaca e c’è per i cittadini un diritto all’informazione. Per questo abbiamo chiesto copia della decisione di dissigillamento, motivando l’istanza proprio con “l’elevato interesse pubblico” per la vicenda ex Macello. Polcantonale e governo, come detto, si sono opposti alla richiesta: il giudice ha però dato loro torto.
Tuttavia la procedura potrebbe non chiudersi qui. Siamo in attesa dei prossimi passi del Consiglio di Stato. Fra qualche giorno sapremo se si metterà nuovamente di traverso e quindi se impugnerà, a nome del Cantone Ticino, il recente verdetto con ricorso alla Corte dei reclami penali (dalla quale, detto per inciso, stiamo aspettando che ci dia finalmente accesso al decreto d’abbandono pronunciato dalla Procura nei confronti di un alto prelato ticinese in seguito alla sentenza favorevole a ‘laRegione’ emessa quasi… due anni fa dal Tribunale federale). Sapremo allora cosa il governo intenda per libertà di stampa e trasparenza, quest’ultima spesso declamata a uso e consumo degli elettori ma nei fatti assai poco praticata, soprattutto quando rischia di danneggiare i centri di potere.
Insomma, governo e polizia sono stati richiamati a rispettare i ruoli che ogni potere ricopre (dovrebbe ricoprire) in uno Stato democratico e di diritto, quale è anche la Svizzera. Perché “al bisogno di informazioni della collettività non vanno poste esigenze troppo severe”, annota il gpc. Perché nel nostro Paese non può e non deve esserci una giustizia segreta. Altrimenti si rischia di accrescere la perdita di fiducia – già compromessa – della cittadinanza nell’intero castello istituzionale.