laR+ IL COMMENTO

Galleggiando nel vuoto

L’istruzione, sfregiata da ogni ottusa misurabilità, ci prende per mano per portarci a scoprire ‘i mille modi in cui si è presentato nel mondo l’umano’

In sintesi:
  • Siamo il frutto dell’invisibile trama delle nostre relazioni
  • Gli occhi degli adolescenti sanno essere affilati, e altrettanto belli
(Ti-Press)
15 giugno 2024
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Di fronte a una schiera di occhi giovani, grandi, interrogativi, si fa strada la consapevolezza che noi siamo il frutto dell’invisibile trama delle nostre relazioni. Emersi come un fiore del deserto dal silenzio immemore della preistoria, sottrattici a una condizione di mero sostentamento e riproduzione, specchiatici con un fremito nella nostra immagine incisa sulla parete di una caverna, siamo oggi il prodotto delle nostre interazioni, delle esperienze, della cultura di cui ci nutriamo quotidianamente, minuto dopo minuto. Noi siamo cultura, a priori, anche quando ce ne dimentichiamo, avvelenandoci lentamente con pietanze indegne della nostra umanità.

Gli occhi degli adolescenti sanno essere affilati, e altrettanto belli, quando fra le richieste a cui cercano di conformarsi, fra le incessanti sfide, grandi o piccole, della loro età, fra i dilemmi più o meno radicali della nostra attualità e del nostro tempo, quando fra un inciampo e una conquista cercano di mettere ordine nel caos, di trovare nel fare quotidiano un orizzonte di senso che definisca i lineamenti del loro futuro, rendendolo un luogo concreto, abitabile, ricco di prospettive da realizzare, coltivandole nel presente. Le nostre giornate – a casa, al lavoro, per strada – sono di certo popolate di adolescenti confusi, disorientati, sofferenti. Molti di più sono quelli “adeguati”, “funzionali”, “resilienti”, o forse semplicemente motivati, aggrappati in qualche modo alla speranza di un’esistenza piena, densa di quel significato che spesso sfugge loro come sabbia fra le dita. E che nemmeno la famiglia, la scuola o il contesto sociale, con le loro aspettative, riescono a rendere palese, riconoscibile.

Gli uni e gli altri non possono essere abbandonati a quel vuoto che alcuni attraversano a passi incerti, come acrobati sulla fune, in cui altri galleggiano a fatica, altri ancora naufragano giorno dopo giorno, alieni a qualsivoglia dolcezza leopardiana, nutrita di percezioni sensibili e stimoli intellettuali in cui riconoscersi. Loro sono cultura, anche quando li abbandoniamo all’incultura che li circonda, di cui molti si alimentano, goccia a goccia, in ogni momento sottratto o consegnato al vuoto, esiliati in universi più o meno irreali, o asfittici. Anche quando li consegniamo alla pornografia, esplicita o meno, che costella le loro giornate, inquinando le relazioni e condannandoli a scoprirsi, è stato scritto, come generazione senza amore; o quando li lasciamo al narcisismo beota dei modelli a cui ritengono di doversi conformare, che siano grandi sportivi o piccoli trapper inconsapevoli della nostra infinitesimale, vertiginosa, ironica piccolezza, che lo sguardo dell’uomo sull’infinito ci ha rivelato. Modelli vacui e scintillanti come il cesso d’oro di Cattelan, al cospetto dei quali ogni proprio piccolo fallimento può tradursi in frustrazione insostenibile quanto distruttiva.

Loro restano cultura, tanto più angosciosa, quando li consegniamo alla superficialità, alla volgarità del pensiero e della lingua, della lingua che dà forma al pensiero e a noi stessi, inevitabilmente tesi alla ricerca di un senso come i cani, naso a terra, battono piste misteriose a noi precluse. In una fra le tante pagine memorabili di “Microcosmi”, Claudio Magris scrive che “la correttezza della lingua è la premessa della chiarezza morale e dell’onestà”. Al contrario, una lingua inconsapevole, come il modo in cui spesso ci riduciamo a vivere, negandoci l’orizzonte di senso a cui tutti aneliamo, altera l’ordine delle cose, “attribuendo eventi a cause o a promotori diversi da quelli effettivi, abolendo distinzioni e gerarchie in una truffaldina ammucchiata di concetti e sentimenti, deformando la verità”.

Più o meno coscienti di questo vuoto, intellettuale e sentimentale, talvolta di colpo disorientati dal cosiddetto “disagio giovanile”, anch’essa formula svuotata di significato, si moltiplicano i compiti che istituzioni diverse (famiglia, industria, parlamento) vorrebbero affidare alla scuola, dalla supposta educazione alla cittadinanza per via civica, alla conoscenza del tedesco, alle competenze tecniche. Dimenticando forse che l’istruzione, sfregiata dal pensiero utilitarista e da ogni ottusa misurabilità, ci prende per mano per portarci a scoprire, come ha scritto Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, “i mille modi in cui si è presentato nel mondo l’umano e più o meno consapevolmente misurarci con esso, con esso alimentare la nostra riflessione su noi stessi, far crescere la nostra personalità, costruire il nostro immaginario e, per usare un’espressione ormai inconsueta, il nostro mondo morale”. Dimenticando, in altre parole, che l’istruzione ha di per sé “un potere educativo, che essa in quanto tale incivilisce”.

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