Tonfo di Macron e Scholz, e anche Putin esulta, oltre alle destre. Ma la tenuta dei Popolari e il successo di Meloni lasciano un’impronta atlantista
Dicono i numeri che al Parlamento di Strasburgo c’è ancora una maggioranza europeista. Ma, dopo aver attraversato per anni, come un fiume carsico, le nazioni dell’Ue, il ‘sovranismo nero’, quello dell’estrema destra nazionalista, è diventato alta marea. Andando vicino a quella tracimazione che avrebbe bloccato o impantanato definitivamente il già fragile processo di integrazione dei 27, o quel che ne resta. I “casi” di Francia e Germania, tandem storicamente trainante dell’Unione, il suo cuore e la sua non sempre saggia regia, sono l’emblema di questo tsunami non del tutto inatteso.
A Berlino, dove il “governo semaforo” (Spd, verdi, liberali) viene travolto dall’opposizione, sotto il maglio della Cdu dell’ex cancelliera Merkel, che garantisce ancora al gruppo dei Popolari europei il primato relativo nell’assemblea legislativa, e minacciosamente dell’Alternative für Deutschland, vistose venature pro-naziste, simpatizzante di Mosca, addirittura bandita “per estremismo” dagli ex alleati dell’agglomerato “Identitario”, e che supera comunque i socialdemocratici di Olaf Scholz, scalzandoli dal secondo posto nella classifica dei partiti nazionali.
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Olaf Scholz in disarmo, i suoi socialisti sono sotto l’AfD
Peggio ancora a Parigi: la “valanga” Le Pen, e il suo giovane e “presentabile” corsaro Jordan Bardella, conquistano la maggioranza, addirittura doppiano i due avversari più importanti (il partito del capo dell’Eliseo, e quello socialista), spingono il presidente Emmanuel Macron a elezioni anticipate in meno di un mese. Nel tentativo di ribaltare subito il verdetto europeo richiamando la disciplina repubblicana del “tutti contro” la finta rispettabilità del fronte razzista, già finanziato e poi sempre coccolato dal Cremlino. Scommessa ad alto rischio: non funzionasse, potrebbe sfociare in una logorante coabitazione governativa con l’ex Front National, e fra due anni alla conquista del Palazzo della più abile figlia di quel Jean-Marie Le Pen per il quale le camere a gas furono “un dettaglio della storia”.
Si è subito detto che, di fronte agli ammaccati bersagli grossi (Francia e Germania), fra i vincitori va annoverato Vladimir Putin, fra i perdenti l’ucraino Zelensky, che vede indeboliti due importanti partner della feroce guerra lungo il fiume Dnepr. Un’esagerazione. Al Cremlino s’è dovuto prender nota anche del fatto che nelle principali nazioni eurofobiche (Polonia e Ungheria) per il Cremlino l’esito del voto europeo è stato meno favorevole; aggiungendo pure l’Italia di una super-atlantista come Giorgia Meloni, che aumenta i suffragi di due anni fa, e di una Elly Schlein, che porta a Strasburgo la pattuglia più numerosa di socialisti europei, in generale (e con i Verdi) non premiati ma nemmeno finiti nel baratro. Il che ha appunto impedito lo sfondamento della diga europeista.
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Giorgia Meloni, trionfatrice della tornata elettorale
Anche per i suoi contrasti interni, l’estrema destra non può formare una maggioranza, a meno che il Partito Popolare non si lasci fagocitare dalle sirene dei nazional-populisti. Sarebbe suicidio. Ma non basterà certo alla sopravvivenza dell’Unione. Che, per garantirsi un futuro, deve cambiare rotta: unione politica, equità sociale, rilevanza internazionale, riscatto tecnologico, autonomia dall’alleato americano stanco di sé stesso. Cambio di passo indispensabile. Oggi anche più arduo, con la limacciosa marea nazionalista arrivata alle caviglie dell’azzoppato progetto europeo.