In Italia, dal 1992 fino a oggi, sono emerse vicende talvolta inverosimili: l'ultima quella del governatore ligure Toti
Da ormai ventiquattro anni la cronaca e la magistratura italiane devono occuparsi di un’interminabile tangentopoli che, di volta in volta, propone nuovi protagonisti e pratiche corruttive sempre più sofisticate, anche se la sostanza non cambia. Siamo sempre fermi a quel 17 febbraio del 1992, quando il sostituto procuratore di Milano Antonio Di Pietro fece irruzione nell’ufficio di Mario Chiesa all’ospizio Pio Albergo Trivulzio, beccandolo mentre stava tentando di liberarsi di una tangente gettandola nel gabinetto. Mario Chiesa era socialista, i socialisti furono polverizzati da tangentopoli – così come i democristiani –, ma l’inchiesta ai politici così come agli imprenditori, ovvero a concussori e concussi, sembra non abbia insegnato nulla.
Nell’ultimo ventennio, in effetti, sono emerse vicende talvolta inverosimili, come quella che vide protagonista il presidente leghista della Regione Piemonte Roberto Cota, che arrivò a farsi rimborsare con soldi pubblici l’acquisto di mutande verdi, il colore d’ordinanza del leghista doc. Oggi Cota è candidato alle elezioni europee per Forza Italia, il partito fondato da Silvio Berlusconi il quale, a un certo punto, alla ricerca di un delfino pensò di averlo individuato in Giovanni Toti, il governatore della Liguria attualmente agli arresti domiciliari, per corruzione. Con Toti Berlusconi fece le cose per bene: trovandolo eccessivamente pingue lo portò in un centro benessere, per fargli perdere un po’ di pancia e dargli un aspetto più dinamico. Poi, nel 2015, lo candidò a governatore della Liguria con una coalizione di centro-destra. Il che accadde anche nel 2020. Dal 7 maggio scorso si trova agli arresti, sia pure in un appartamento con vista sul mare, accusato di corruzione. La vicenda Toti è lì a dimostrare che tangentopoli non è tramontata. Con l’aggravante che alcuni dei magistrati che nel ’92 la fecero emergere, sono finiti anche loro nei guai. Il mitico Antonio Di Pietro, il pm contadino dal linguaggio colorito, si è dimesso dalla magistratura e ha compiuto l’errore di fondare un partito, sperimentando di persona la spregiudicatezza di quella stessa classe politica che, avendola già conosciuta quando era procuratore a Milano, avrebbe dovuto vantare il buon senso di tenersene il più distante possibile.
Altri due protagonisti dell’inchiesta ‘Mani Pulite’, Piercamillo Davigo e Fabio De Pasquale, hanno finito per perdere credibilità poco dignitosamente. Davigo è stato condannato a un anno e 3 mesi per rivelazione di segreto d’ufficio, mentre De Pasquale è stato degradato dal Consiglio superiore della magistratura per aver omesso di esibire delle prove a discarico degli imputati, nell’ambito di un processo contro il colosso energetico Eni. Ora, si tenga presente che Fabio De Pasquale è passato alla storia giudiziaria italiana per aver fatto condannare Bettino Craxi, costringendolo alla latitanza; oltre che per essere stato l’unico magistrato cui sia riuscito di infliggere una condanna a Silvio Berlusconi. Una condanna a 4 anni per evasione fiscale. Il fatto è che la punizione inflitta a De Pasquale avviene mentre con lo scandalo ligure emerge l’ennesimo capitolo dell’interminabile tangentopoli italiana, finendo di fare il gioco di chi dubita dell’imparzialità dei magistrati.