Nel 1982 ci fu la denuncia di ‘genocidio’ in Siria. Ma non esplose la protesta nelle piazze e nelle università dell’Occidente
L’11 giugno del 2000 il Consiglio federale, in una lettera di condoglianze, esprimeva il proprio rammarico al popolo siriano per la morte di Hafiz al-Asad, alla guida del proprio Paese sin dal 1971. Stroncato da un infarto a 70 anni, venne gratificato dal nostro governo quale uomo mosso dalla “volontà di pace”. Ma non solo Berna rese omaggio a colui che, in realtà, era stato soprattutto un despota sanguinario. Ai suoi funerali a Damasco parteciparono infatti, tra gli altri, la segretaria di Stato americana Madeleine Albright, il presidente cinese Jiang Zemin e il francese Jacques Chirac. Per la Svizzera era presente il responsabile del Dipartimento federale degli esteri, Joseph Deiss. Tutti questi uomini di Stato erano, verosimilmente, immemori della brutalità di Hafiz al-Asad, che in sole tre settimane, nel febbraio del 1982, soffocò una rivolta islamista guidata dalla Fratellanza Musulmana nella città di Hama, uccidendo oltre 20mila persone, in buona parte civili.
“Da Asad a Netanyahu, la distruzione delle città arabe”, ha titolato di recente Le Monde, paragonando la sorte di Hama a quella di Gaza. Se non che in quelle tre settimane durante le quali l’autocrate siriano fece radere al suolo la quarta città per importanza della Siria, non esplose la protesta contro il suo regime nelle piazze e nelle università dell’Occidente. La strage venne, sì, denunciata dalle organizzazioni per la difesa dei diritti dell’uomo come un “genocidio”: altra analogia, questa volta semantica, con l’aggressione israeliana a Gaza. Ma passò, come si suol dire, quasi “in cavalleria”. Il motivo? Osiamo pensare che, in epoca di Guerra fredda, un leader arabo che si proclamava socialista godesse della benevolenza sovietica e, di conseguenza, la parte di mondo che simpatizzava con Mosca si voltasse dall’altra parte di fronte ai suoi eccessi. Che comprendevano, inoltre, la tortura degli oppositori, messa in pratica da una Polizia politica tra le più feroci del Medio Oriente.
Polizia politica oggi al servizio dell’erede dinastico del dittatore scomparso 24 anni fa. Ci riferiamo al figlio, Bashar al-Assad, il quale nel soffocare la rivolta della Primavera Araba siriana ha probabilmente commesso più atrocità del padre, venendo accusato tra l’altro per una strage di bambini con gas tossici. Crimine, quest’ultimo, così come le nefandezze compiute con l’appoggio russo nel bastione della resistenza di Aleppo, che non è bastato per attivare un tribunale internazionale ad hoc con le insegne Onu sul conflitto in Siria. “Non ho mai visto un conflitto così violento, nel quale vi siano così tanti bambini uccisi, torturati, decapitati”, ha denunciato l’ex procuratrice del Tribunale penale internazionale dell’Aja Carla Del Ponte, che è stata membro della Commissione indipendente d’inchiesta sulla Siria. Fatto sta che finora il veto di Mosca ha impedito la creazione di un tribunale internazionale che indaghi sugli orrori compiuti in quella guerra. Il che ci rimanda ai numerosi veti Usa a sostegno di Israele.
Una domanda rimane in sospeso: perché così tanta indignazione per Gaza e così poca partecipazione per i drammi di Hama e di Aleppo? Azzardiamo un’ipotesi: da una democrazia, qual è Israele, ci si attende più autocontrollo che da una dittatura come la Siria.