Molto, se non tutto, gioca oggi a sfavore di Kiev. Ma Putin è davvero in grado di assestare il risolutivo ko? E a quale prezzo?
La maggioranza degli aruspici dei tempi nostri – sviscerando realtà militari, politiche, economiche – rispondono positivamente all’interrogativo di copertina dell’Economist: “Putin sta vincendo la guerra?”. Innegabile: l’Ucraina, la “piccola Russia” dell’ex impero zarista e poi sovietico, che per il leader del Cremlino ha avuto la sfrontatezza di sfidare la Storia proclamandosi indipendente dopo il crollo dell’Urss, conosce il peggior momento dall’inizio dell’invasione subita dall’esercito che pezzi di quell’impero vorrebbe ricucire, con la forza nel caso ucraino e con la sudditanza in quello bielorusso governato dalla dittatura del sodale Lukashenko. Molto, se non tutto, gioca oggi a sfavore di Kiev, e non soltanto la netta, logorante inferiorità numerica dei suoi soldati. Bisogna aggiungere: la “concorrenza” di un feroce scontro armato in Medio Oriente che ha spostato a sud del Mediterraneo preoccupazioni e premure degli alleati di Zelensky; la rissa interna americana, con i repubblicani che sperando (insieme a Mosca) nel ritorno di Trump alla Casa Bianca bloccano al Campidoglio l’ultimo mega-assegno di aiuti statunitensi; la debolezza dell’Unione europea, alle prese col ricatto del filo-putiniano Orban che come merce di scambio per andare incontro al principio dell’entrata dell’Ucraina pretende di ricevere tutti i miliardi congelati da Bruxelles per sanzionare l’Ungheria “illiberale”. E ancora ci sono: il primo scontro aperto fra la presidenza ucraina e i vertici del suo esercito sulla fallita controffensiva; e la “stanchezza” dei Paesi occidentali verso una solidarietà che amplifica problemi economici in realtà dovuti spesso non alla guerra ma a fenomeni speculativi.
Un quadro complessivo che spinge Putin a fare… Putin. Rispolvera, il nuovo zar, la narrazione dell’intransigenza: la tregua impossibile se non sono raggiunti tutti gli obiettivi russi, la neutralità e la denazificazione della nazione nemica. Ma davvero è in grado di assestare il risolutivo ko? E a quale prezzo? Ripartiamo dal secondo interrogativo, perché se è vero che numero di vittime e distruzioni sono percentualmente più pesanti nel campo ucraino, anche il restauratore delle ambizioni imperiali qualche inquietante conto lo deve pur fare su 22 mesi di sfracelli. Secondo le analisi più accreditate, solo nel primo anno l’esercito di Putin aveva già contato 47mila morti, e la cifra sale a 125mila vittime se si aggiungono i militi russi tanto gravemente feriti da non poter tornare al fronte; il Cremlino ha avuto finora tre volte più morti in quasi due anni che quelli subiti dall’Armata rossa in Afghanistan in dieci anni di combattimenti. Poi: Mosca consolida un’economia di guerra con l’aumento del 170% delle spese militari; deve vendere i suoi prodotti energetici a prezzi scontati, per esempio all’alleato Pechino che però cerca il disgelo con la Casa Bianca; la Russia gioca la carta dei rapporti con un “Sud globale” per nulla omogeneo mentre ancora non è sicura di poter ostacolare la via dell’adesione ucraina alla Nato e già paga con l’adesione all’Alleanza atlantica di Paesi storicamente neutrali come Svezia e Finlandia; falliti e irrecuperabili i piani per conquistare con un blitz la “piccola Russia” d’antan e imporre almeno un governo fantoccio a Kiev; oggi i russi controllano la Crimea e il 15% dell’Ucraina orientale (all’incirca come prima dell’invasione). Non proprio imperiale la marcia della “Novorossija” putiniana. Per l’Ucraina l’importante non è vincere, ma non perdere. Esiti ancora incerti. Pesa il 2024 elettorale nella lacerata America e nella claudicante Ue. Occidente al bivio. Per capire che ne è della sua sbandierata coerenza democratica.