Un altro morto eccellente e una fine nebulosa in un Paese in cui non è nemmeno necessario dare ordini dall'alto per ottenere quel che si vuole
Itar-Tass (l’agenzia ufficiale del Cremlino) ne aveva dato subito notizia. Non aveva certo dovuto aspettare la prova del Dna: sì, sul jet della Wagner precipitato c’era Yevgeniy Prigozhin. Lo stesso Putin aveva del resto già omaggiato l’“abile uomo d’affari che ha però commesso errori”, e contro il quale, in un incontro di tre ore, aveva in realtà urlato tutta la sua rabbia, secondo un testimone presente alla sfuriata. Ma si sa, le dittature hanno bisogno dei propri riti, dei propri lavacri. In questo caso anche perché sull’incidente del 23 agosto dovrà essere costruita la verità ufficiale, che naturalmente escluderà che l’ordine di abbattere l’aereo (missile terra-aria, o esplosione di un ordigno a bordo, oppure manomissione prima della partenza) sia stato dato personalmente dal presidente russo che aveva pubblicamente denunciato “la pugnalata alle spalle” dell’ex sodale diventato “traditore”.
Come se quell’ordine dello zar fosse davvero necessario. Nella Russia di Vladimir Putin, ci sono apparati dello Stato (infeudato a ex agenti del Kgb, servizi segreti, intelligence militare, guardia pretoriana) che possono muoversi con sicuro margine di autonomia quando si tratta di concretizzare la volontà del gran capo. Di morti eccellenti, avvelenamenti ‘opportuni’, pallottole assassine, suicidi più che sospetti, ce ne sono stati abbastanza: sempre impuniti. Tra cui l’assassinio di Anna Politkovskaja, giornalista critica della deriva putiniana: abbattuta nell’ascensore del suo palazzo il 7 ottobre 2006, nel 54esimo compleanno di Putin, un “regalo” al presidente.
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Quel che resta dell’aereo di Prigozhin
Così, con Prigozhin finito in chissà quale altro mondo, molti analisti occidentali si sono sbizzarriti nelle ipotesi sul futuro della Wagner. Come se si trattasse davvero di una formazione mercenaria indipendente, e non di una formazione pienamente al servizio del potere: costola dei servizi segreti militari incaricata di tutti i “lavori sporchi” formalmente non attribuibili ai dirigenti russi: infiltrazioni in Donbass, operazioni in Africa a sostegno di dittatori impresentabili ma generosi nel ricambiare con materie prime (dall’oro all’uranio) e l’accresciuta influenza del Cremlino; infine nell’invasione dell’Ucraina sostituendo i soldati mossi con imperizia dai generali Shoigu e Gerasimov. Sarà sempre Mosca a decidere i futuri impegni degli ex mercenari, soprattutto nel sub Sahara.
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La coppia ai tempi in cui i rapporti erano buoni
Comunque per Putin, forse il peggior peccato dell’ex amico non furono tanto le critiche e gli insulti agli esponenti del “cerchio magico” moscovita, bensì la contro-narrazione che osò fare Prigozhin sulle cause dell’invasione dell’Ucraina: non colpa della Nato – denunciò – ma interessi del “potere verticale” su cui si regge il potere putiniano. Tesi intollerabile per lo zar, abituato a manipolare la Storia che lui stesso rielabora a fini ideologico-propagandistici.
Ma cos’altro aspettarsi da chi ha recentemente dichiarato addirittura che “la Polonia deve ringraziare Stalin” per aver allargato i suoi confini occidentali fino all’Oder-Neisse? Dimentica, Putin, di ricordare sia che a fine guerra Varsavia perse a est più territori di quanti ne abbia ricevuti poi in compensazione, e anche il Patto Molotov-Ribbentrop del 1939: viatico all’inizio della Seconda guerra mondiale, in seguito alla decisione di Hitler e Stalin di spartirsi la Polonia. Intesa contenuta in protocolli segreti che in Urss, durante tutto il periodo della Guerra fredda, rimasero tali per decenni.