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Il Brics, club economico o club politico?

Dal vertice in Sudafrica, al di là delle dichiarazioni di facciata, emerge tutta la difficoltà a definire un percorso comune

In sintesi:
  • India e Arabia Saudita realtà emergenti, Cina e Russia in difficoltà
  • Riuscirà il Brics a diventare il contrappeso al G7, oppure rimarrà la solita entità flop di Paesi non allineati?
In videocollegamento da Mosca
(Keystone)

Le fondamenta per l’allargamento del Brics sono state poste. Ma sarà tutto da vedere quali Stati alla fine effettivamente aderiranno al club dei Paesi emergenti.
Di storico, per ora, a Johannesburg vi sono stati solo i festeggiamenti per il successo della missione lunare indiana al Polo sud, la prima di questo genere, dopo il fallimento di qualche giorno fa di un’analoga impresa russa.
È stato questo un passaggio simbolico di testimone tra i due Paesi? Lo sapremo nei prossimi anni. Come capiremo se realmente il Brics diventerà il contrappeso del G7 occidentale oppure rimarrà la solita entità flop di Paesi non allineati, troppo diversi tra loro per concludere qualcosa insieme.
Il primo problema sarà comunque definire che cosa sia il Brics: un club economico o un club politico? O entrambi?
Le visioni di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica sono discordanti, ma le delegazioni presenti a Johannesburg affermano di aver quadrato il cerchio, non spiegando, però, ancora come.

Pechino vorrebbe un club in grado di rivaleggiare col G7 nel nuovo mondo post turbo-globalizzazione. New Delhi non ne vuol sentire neanche parlare: “sì” alla difesa di comuni interessi economici, ma “no” a una forza politica che sfidi l’Occidente.
E poi la questione della de-dollarizzazione. Qualche Paese vorrebbe introdurre sistemi di pagamento in valuta locale, basati su accordi bilaterali; altri una moneta Brics. A scanso d’equivoci, è bene sottolineare che il predominio del dollaro nei traffici internazionali non corre, al momento, alcun pericolo. Anzi. Chiunque abbia finora tentato di allontanarsi si è trovato in un mare di guai. Ad esempio, la Russia ha i forzieri pieni di rupie e non sa bene cosa farne.
Due altre questioni: cosa ci fanno nel Brics Paesi democratici o ad alto livello democratico a fianco di autocrazie? E poi a Johannesburg si è tenuto conto della realtà globale post Covid?

La Cina, soggetta ai dazi Usa, è entrata in crisi e sta per affrontare una sua “Lehman Brothers” in versione mandarina dai contorni incerti. La Russia, impelagata nell’avventura ucraina, è stata messa a dieta dalle sanzioni occidentali. Il Brasile di Lula ha incassato un mezzo passo falso alla recente conferenza sull’Amazzonia.
Al contrario, l’India ha un’economia in grande crescita. Le sue scelte geostrategiche nell’Indo-Pacifico, dove ha abbracciato le posizioni Usa, hanno facilitato questo percorso positivo. L’Arabia Saudita, che bussa al Brics, ha appena ospitato un summit per la pace in Ucraina con una quarantina di Paesi senza il Cremlino.
In breve, India e Arabia Saudita stanno segnalandosi come le nuove realtà emergenti non solo economiche ma anche politiche. Ambedue sono consapevoli del fatto che il contestato Occidente, campione indiscusso nelle innovazioni tecnologiche, è sempre il “banco” nel gioco degli equilibri mondiali, sia finanziari che politici. Meglio andarci d’accordo e non rischiare che qualcuno spenga la luce anche a loro. Chiedere per informazioni a cinesi e russi.
In ultimo, il Brics e chi si affilierà (il “Sud globale”) sono soprattutto uniti dal desiderio di vivere in un mondo con una “governance” più equilibrata. È tempo che l’Occidente, dall’alto della sua leadership, cominci a pensare a una realtà post Bretton Woods. Il 1944 è davvero lontano.