Il consigliere federale ci ha abituato negli ultimi anni a una immagine diversa da quella standard del politico svizzero
Volendo dare una patina romantica, un filino cinematografica, agli scampoli di potere di Alain Berset, potremmo intitolare le settimane che gli mancano all’addio al Consiglio federale “Gli ultimi giorni di Berset”. Se fosse ancora in vita Jean-Luc Godard, potrebbe essere lui il regista del film sul nostro ministro dimissionario. Ci immaginiamo il maestro della “Nouvelle vague” presentarsi a Berset, così come si narra abbia fatto con Jean-Paul Belmondo, che aveva scelto quale protagonista di “À bout de souffle”, proponendogli un soggetto molto scarno. A Belmondo aveva parlato di un tizio che compie una rapina a Marsiglia, scappa con una ragazza a Parigi, dove viene ucciso. Dubitiamo che Alain Berset, che oltretutto è ben più vecchio del Belmondo dell’epoca, visto che “À bout de souffle” risale al 1960, accetterebbe di impersonare un “voyou” destinato a una fine tanto drammatica. Certo è che, in un tweet pubblicato in occasione della scomparsa di Godard, nel settembre del 2022, il nostro ministro della Cultura scrisse che “la sua eredità e la sua immensa influenza segneranno la sorte del cinema”. Non ci sembrano parole di prammatica anche perché, all’epoca, Godard era uscito da un bel po’ dai riflettori, come pure il cinema di cui era stato uno dei massimi protagonisti.
Quindi, che potesse nascere un feeling tra i due personaggi non ci pare così peregrino. D’altronde, Alain Berset, alla fine delle sue ultime vacanze da consigliere federale, ha pubblicato una foto che lo ritrae con la barba lunga, un berrettino da rivoluzionario cubano e uno sguardo languido che sa tanto di George Clooney. Nulla a che fare con le mise vacanziere d’ordinanza cui ci hanno abituato i nostri governanti. Al massimo una camicia a scacchi e delle sneaker. O la cintura con le mucche tanto cara a Christoph Blocher.
Ma l’attuale presidente della Confederazione, soprattutto negli ultimi anni, ci ha abituato a una certa “diversità” di immagine, chiamiamola così, rispetto a quella standard del politico svizzero, che possiamo decisamente definire molto più formale. Si può partire dalla lobbia, che diventa una paglietta d’estate, per arrivare alle fughe d’amore in un resort della Foresta Nera, per incontrare una donna che, poi, si è rivelata una ricattatrice. Ma si può ricordare, anche, l’infortunio da aspirante Saint-Exupéry, con tanto di intercettazione da parte dei caccia Rafale francesi. Direi che non si può neppure dimenticare, visto che stiamo parlando dell’uomo che ha gestito la pandemia, che affrontò quell’emergenza drammatizzandola il meno possibile tanto che, talvolta, nelle conferenze stampa da Palazzo federale, non sfuggiva il lampo ironico nello sguardo che ha spesso contraddistinto l’immagine di Berset. Adesso che sta per lasciarci, non prima di aver incontrato l’immancabile Zelensky e non senza aver intimato a Putin di deporre le armi, ci si può chiedere quale eredità ci lasci questo socialista friburghese, che inizierà a godersi una sontuosa pensione a soli 52 anni. Nel corso del suo recente passaggio al Festival di Locarno, l’ultimo da ministro della Cultura, ha dichiarato che adesso ha bisogno di riposarsi. Poi, da par suo, alla domanda del ‘Blick’ se abbia un progetto una volta riposatosi, ha risposto che “non può inventarsi qualcosa sul momento solo per rispondere a una domanda”. Sicuramente, ne siamo convinti, sentiremo ancora parlare di lui.