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Da ‘Nixon boia’ a ‘viva Kissinger’

Il Machiavelli in sedicesimo dell’America più spregiudicata compie cent’anni. Piace ai ‘realisti’ ma non dispiace neppure alla sinistra, ormai

In sintesi:
  • Le sue ‘profezie’ sull’Ucraina hanno mandato in sollucchero anche i suoi vecchi detrattori
  • Elogi sperticati e demonizzazioni un tanto al chilo ne hanno fatto un mito
(Keystone)
27 maggio 2023
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Si dice ‘confirmation bias’, pregiudizio di conferma: è la tendenza – ce l’abbiamo un po’ tutti, poi sta a ciascuno arginarla come può – a vedere solo quelle cose che confermano le nostre convinzioni, anche a costo di aggrapparci a osservazioni infondate e personaggi poco raccomandabili. Un po’ come quella parte della sinistra che ha aperto il suo pantheon a Henry Kissinger, cent’anni proprio oggi, pur di giustificare o relativizzare l’aggressione russa in Ucraina.

Certo, il braccio destro di “Nixon boia” – come scrivevano sui muri negli anni Settanta – è quello dei bombardamenti segreti sulla Cambogia, dei flirt con Pinochet e Suharto, del mondo come lettiera degli Stati Uniti. Ma è anche colui che nel 2014 addossò alla hybris di Usa e Nato l’occupazione putiniana di un’Ucraina dalle anime secondo lui inconciliabili, quella russa e quella occidentale: una superficiale lettura ‘essenzialista’, che assegnava al Cremlino una sorta di diritto ontologico sull’Est e finiva per auspicare la finlandizzazione del Paese. Ora lo stesso Kissinger ha cambiato idea – la coerenza non è mai stata il suo forte –, ma intanto si è goduto un annetto di coccole da parte dei ‘pacifisti’ alla Travaglio, dei telemoscoviti e della sinistra massimalista, che ha trovato in lui l’ennesimo compagno di briscola col quale straparlare di multipolarismo e nuova guerra fredda.

Al di là del confirmation bias, è questo che mantiene il Metternich della Beltway così popolare: la sua lettura degli eventi semplifica tremendamente le complessità della storia e delle relazioni internazionali, riducendo tutto a una serie di motteggi oracolari e prescrizioni da medico condotto. Quello che lo storico Mario Del Pero, nell’intervista che pubblichiamo oggi, definisce “realismo all’amatriciana”, così perfetto per la stagione degli ex immunologi diventati all’improvviso esperti di geopolitica (qualunque cosa essa sia).

Ma il fascino discreto della sfinge teutonica passa anche dal suo affettato cinismo, dalla rappresentazione d’ogni confronto e conflitto – e lui quelli americani li ha sostenuti tutti, dal Vietnam all’Iraq – come inevitabile risultato delle frizioni tra blocchi contrapposti, in quello che i giornalisti più pigri chiamano “scacchiere internazionale”. Un mondo hobbesiano, nel quale sarebbe svenevole farsi fisime per gli aggrediti o per i diritti umani. Con un risultato paradossale: le idee del ‘guerriero freddo’ che ha contribuito a piantare l’America in mezzo mondo ora sono imbracciate per isolarsi, per ritirarsi da un teatro in cui tanto son tutti marci allo stesso modo (“e allora Zelensky?”). Inoltre, come nota sempre Del Pero, l’amoralità del mondo predicata da Kissinger – contraffazione ad usum Delphini della scuola realista – può essere facilmente spacciata per un’ammissione di immoralità, da impugnare a propria volta come specchio ustorio contro un mondo capitalista e un’America brutta e cattiva, in cui “Bush e Obama, Clinton e Trump tutto sommato sono tutti uguali” (“Ma che siamo, in un film di Alberto Sordi?”, viene da chiedersi con Nanni Moretti).

Kissinger ne sarà felice: è da una vita che lavora assiduamente alla sua immagine di spregiudicato burattinaio, Machiavelli in sedicesimo e Jep Gambardella da scuole medie (“Io non volevo solo partecipare alle feste, volevo avere il potere di farle fallire…”). Con una bella spinta non solo da chi lo magnifica come grande vecchio, ma anche da chi lo demonizza, contribuendo a quell’aura mefistofelica che ne camuffa tratti ben più pedestri. In questo, davvero, si è dimostrato un genio.

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