Così su due piedi

Putin, cosa hai messo nel caffè?

Da quando indossa i panni del dottor Stranamore di Kubrick, lo Zar di tutte le Russie si diverte ad agitare lo spettro dell’ordigno di fine-di-mondo

In sintesi:
  • Perché il veleno? Per lanciare un messaggio
  • Anche il Sovrano è un uomo, e la sua tracotanza va incontro prima o poi all’immancabile punizione divina
Il ‘Piccolo Chimico’
(Keystone)
29 marzo 2023
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Armi nucleari in Bielorussia, 10 aerei in grado di trasportarle, sistemi di lancio Iskander con gittata di 500 chilometri, e inoltre 1'600 carri armati nuovi entro un anno: da quando indossa i panni del dottor Stranamore di Kubrick, lo Zar di tutte le Russie si diverte, a imitazione del suo omologo nordcoreano, ad agitare lo spettro dell’ordigno di fine-di-mondo. Ma ogni tanto, preso dalla nostalgia dei bei tempi in cui si limitava a far fuori i connazionali, si ritira in una stanza supersegreta della sua segretissima dacia in Carelia e torna a giocare al Piccolo Chimico, e trafficando con alambicchi, ampolle e provette ricava pericolose polverine per avvelenare dissidenti e avversari. L’ultimo nome di un elenco che comprende, tra i più conosciuti, Aleksandr Livtinenko, Aleksej Naval’nyj, l’ex presidente ucraino Yushchenko, l’agente segreto Sergej Skripal’, è quello di Elvira Vikhareva: gli spasmi muscolari, gli svenimenti, le perdite di capelli, le tachicardie, i dolori allo stomaco e gli altri sintomi che la giovane blogger ha accusato negli ultimi mesi sono stati prodotti da un metallo pesante, il bicromato di potassio, altamente tossico e cancerogeno.

In casi del genere, il ricorso al veleno è un’extrema ratio: se minacce, pressioni, avvertimenti, perquisizioni, interrogatori non inducono l’oppositore a più miti consigli, ecco che una gelida manina gli versa un po’ di diossina nella minestra, gli insaporisce il the con un pizzico di polonio, gli spruzza un agente nervino sulla maniglia della porta di casa. Un metodo poco dialogante di gestire il dissenso politico che, se da un lato sollecita reminiscenze da arsenico e vecchi merletti (la cantarella versata da Lucrezia Borgia nelle pietanze dei rivali, la stricnina mescolata ai farmaci del bandito pentito Gaspare Pisciotta, il caffè “corretto” di Michele Sindona), dall’altro lascia dubbi sulle ragioni del suo utilizzo, essendo molto meno efficace di un colpo di pistola alla testa: non tutte le vittime muoiono, come dimostra il caso di Anna Politkovskaja, sopravvissuta a un avvelenamento e uccisa due anni dopo.

Perché, allora, il veleno? Per lanciare un messaggio, è facile credere, a chiunque, in patria o all’estero, si mettesse in testa di disturbare il manovratore: si azzardi pure ad alzare la cresta, in un clima di costante incertezza in cui i più fortunati pagano la ribellione al Sovrano continuando a vivere tra atroci sofferenze, mentre altro veleno, quello della propaganda, inquina l’informazione, l’opinione pubblica, la circolazione delle idee. Ma anche il Sovrano è un uomo, e la sua tracotanza, ci hanno insegnato i Greci, va incontro prima o poi all’immancabile punizione divina. E quella umana? Che venga comminata in Russia, in seguito a una fronda interna di oligarchi illuminati o a una rivolta del popolo stremato e impoverito, o decretata dalla Corte Penale Internazionale, che quel moderato di Medvedev ha minacciato di sventrare con un missile ipersonico, non vediamo l’ora che a Mosca o all’Aja la sentenza di un tribunale ratifichi quella della Storia. Del resto, dai Greci, che di tiranni si intendevano, abbiamo anche imparato che il veleno, ossia il phàrmakon, ha lo stesso nome del suo antidoto.