La CIna fa passi verso la Russia (che fa buon viso a cattivo gioco), ma sa che non può mollare l’Occidente
Non all’altezza delle attese. Il vertice russo-cinese non ha prodotto risultati tangibili sul capitolo ucraino e i due Paesi non hanno fatto altro che ribadire il corso all’avvicinamento reciproco, iniziato nei lontani anni Novanta. In particolare, il Cremlino ha di fatto espresso sì attenzione verso il piano di mediazione cinese in 12 punti, ma nulla di più consistente se non l’intenzione di applicarlo – eventualmente – “quando i tempi saranno maturi”.
Invero, se lo si legge con attenzione, esso sembra una riedizione corretta del “Minsk-2”, negoziato dagli europei nel febbraio 2015, fondamentalmente per fermare le ostilità in Donbass e non per risolvere il problema. Tale accomodamento temporaneo ha, però, provocato la nascita nello spazio ex sovietico dell’ennesimo “conflitto congelato”, durato 7 anni e riesploso con maggiore gravità il 24 febbraio 2022.
Allo stato attuale i veri punti di svolta della tragedia ucraina sono ben altri, non il vertice russo-cinese. Due punti nello specifico: il primo militare; il secondo diplomatico. Ossia, Kiev sarà in grado nei prossimi mesi (entro la fine dell’anno) di riprendersi con le armi le regioni “occupate”, come ha promesso ai suoi cittadini? Con buone probabilità, se non ci riuscisse in quella breve finestra temporale, sarà costretta ad accettare perdite territoriali come base di una futura trattativa.
Il punto diplomatico è, invece, rappresentato dal capire quale accoglienza riceverà Xi Jinping da Zelensky, dopo il vertice con Putin, e quali novità sostanziali a livello di proposte concrete vi potranno essere. Negli ultimi giorni i media di mezzo mondo hanno a lungo discettato sulla nascita o meno di un nuovo “asse” tra Mosca e Pechino i quali lancerebbero insieme la sfida all’Occidente, con l’obiettivo di rovesciare il banco.
È dagli anni Novanta che questo scenario viene puntualmente evidenziato da geostrateghi di professione o dilettanti, non appena si osservano tensioni internazionali. Ma il volume dei rapporti bilaterali rimane un decimo di quello cinese con l’Occidente. Per Pechino fare scelte di campo definitive e non adeguatamente valutate significa mettere in pericolo i vantaggi economici e geopolitici, ottenuti dal 2001 a oggi, e rischiare di trovarsi impelagata in un conflitto ideologico. Meglio al momento per lei compiere piccoli passi, lasciandosi tutte le opzioni aperte.
Nelle stesse ore in cui Xi Jinping era a Mosca, il premier giapponese Kishida è stato in visita a Kiev. Tokyo è molto più vicina all’Occidente di quanto lo si creda nel Vecchio continente e con non pochi sassolini nelle scarpe con il Cremlino e con il “Celeste impero”. Mediaticamente si è tentato così di riequilibrare l’impatto del vertice russo-cinese sull’agenda della stampa internazionale.
In ultimo, Dimitry Medvedev. Se si lasciano da parte le dichiarazioni altisonanti, rilasciate nei ricchi saloni del Cremlino dalle autorità, e si guardano mosse e sorrisi ci si è accorti che un posto preciso è stato riservato all’ex presidente, già “delfino” di Putin, accomodatosi come interlocutore rilevante all’interno della delegazione russa. La sensazione è che, dopo un periodo in cui pareva caduto in disgrazia, l’amico di sempre sia di nuovo il vice-zar.