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Francia, la tempesta dopo la tempesta

La sinistra soffia sul fuoco della protesta, mentre Macron prova a veleggiare sul mare increspato della crisi e del debito. Basterà?

In sintesi:
  • Tra arruffapopoli e conti in tasca
  • La riforma è legge, difficile si possa tornare indietro
  • Mélenchon fa il piromane, Le Pen cerca un posto al sole
La protesta continua
(Keystone)
21 marzo 2023
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Respinta, anche se solo per il rotto della cuffia. La mozione di censura centrista (l’unica che aveva qualche chance) non passa, sono mancati nove voti per raggiungere quota 287. Si salvano così il governo di Élisabeth Borne e la sua contestata riforma delle pensioni. La democrazia parlamentare ha finalmente parlato, ma in un clima avvelenato da un’inaudita violenza verbale.

Estrema destra e sinistra radicale coalizzate per esprimere “collera e disgusto” contro “brutalità e menzogne” di Emmanuel Macron. Spopola la retorica. Se il senso del ridicolo uccidesse, Mathilde Panot di La France Insoumise sarebbe già passata a miglior vita: “Il traditore Macron è come Caligola!”.

La prima ministra denuncia l’ipocrisia di chi insorge contro la mancanza di democrazia dopo averla bloccata in Parlamento con un rozzo sbraitato ostruzionismo (14mila emendamenti), con sabotaggi di centrali elettriche, minacce di morte nei confronti di deputati della maggioranza.

La premier Elisabeth Borne (Keystone)

Vista dall’estero la situazione francese evidenzia anomalie e paradossi: mentre l’innalzamento dell’età pensionabile è una realtà in tutt’Europa (65 anni in Svizzera, Germania, Belgio o Spagna; sale nel Regno Unito a 66, a 67 addirittura in Italia e Grecia) la maggioranza dei francesi (che già beneficia delle 35 ore lavorative settimanali) si oppone a un passaggio dai 62 ai 64 anni. Dopo due mesi di infuocate polemiche le montagne di immondizia con una popolazione in forte crescita demografica di spavaldi roditori nelle strade di Parigi, immortalano l’impasse politica e sociale.

Il ricorso all’articolo 49.3 che bypassa il legislativo non è una novità: applicato già un centinaio di volte in passato (soprattutto dalla sinistra) poteva essere ribaltato solo da una mozione di censura. Non ce l’ha dunque fatta l’alleanza Mélenchon-Le Pen, pur potendo contare sul cerchiobottismo di molti deputati del centro destra di LR (Les Républicains) che dopo aver sottoscritto un compromesso nella commissione paritetica Camera-Senato, hanno camaleonticamente fiutato l’aria rimangiandosi la parola data.

Oggi il 49.3 è sulla bocca di tutti, cifra dell’“arroganza monarchica” del presidente. Non sono in pochi anche nel suo stesso partito ad aver intuito il pericolo di una mossa legittima ma indigesta ai francesi. Insopportabile forse, ma indispensabile secondo Macron: l’enorme deficit (3mila miliardi di euro) e il rialzo dei tassi di interesse compromettono il futuro del Paese.

Senza riforma, le pensioni dovrebbero essere finanziate con un ulteriore deficit e con un incremento della fiscalità: ipotesi che peggiore non si può, micidiale ipoteca sul futuro.


Ancora strade piene e scontri (Keystone)

La legge, salvo improbabile smentita del Consiglio Costituzionale, entrerà in vigore in settembre. Malgrado l’alternativa teorica referendaria (la più democratica, presentata dal Partito Comunista, ma dall’iter estremamente lungo e complesso) i giochi sembrano fatti.

Il caos però è destinato a perdurare: buttano olio sul fuoco alcuni piromani politici dall’ego smisurato, epigoni dell’arrufapopoli Mélenchon, e leader di un sindacalismo in difficoltà di prevendita (Olivier Mateu, aspirante Robespierre ammazzasette della Cgt invita letteralmente a “dare tutto alle fiamme”). A pasteggiare a Champagne sarà verosimilmente Marine Le Pen, che coerentemente con i principi dell’estrema destra si presenta come l’inflessibile garante contro il caos e per il ristabilimento dell’ordine.