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Tornato Netanyahu, tornate le stragi

Dietro l’escalation di violenza tra israeliani e palestinesi non si può non vedere l’ombra di ‘Bibi’, appena tornato al potere

In sintesi:
  • Stavolta pur di diventare ancora premier, non si è fatto scrupoli ad allearsi con i peggiori ultranazionalisti
  • Spaventano le manovre del ministro per la Sicurezza nazionale Ben-Gvir
  • Ora si teme una terza intifada, che potrebbe anche essere la peggiore
Fuoco e fiamme a Jenin (Keystone)
30 gennaio 2023
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Associare, come hanno fatto in molti, gli attentati di Gerusalemme al ‘Giorno della Memoria’, commemorato nelle stesse ore per ricordare l’immane massacro della Shoah ebraica, è davvero improprio: strumentalizzazione politica, o grossolano errore storico, o sostanziale pigrizia giornalistica. Fatto è che anche le tragedie a lungo trascurate hanno una ‘memoria’, che a volte rincorre i loro protagonisti. Quella del sanguinoso scontro fra palestinesi e israeliani dura ormai da oltre un secolo: debuttò infatti quando quelle "terre sante senza pace" erano ancora sotto mandato britannico. E sbaglia chi si illude, come Israele, di poter chiudere cento anni di prepotenze, ingiustizie e lutti relegandoli semplicemente nel dimenticatoio dei drammi vicino-orientali. Precarie tregue e inevitabili atti di violenza continuano ad alternarsi.


Un cartello di manifestanti anti-Netanyahu a Tel Aviv (Keystone)

Così, in meno di tre giorni, ai 9 civili e presunti militanti palestinesi di Jenin uccisi per mano dell’esercito israeliano, sono subito seguiti le 7 vittime dell’attacco arabo contro fedeli ebrei alla sinagoga del quartiere ortodosso di "Neve Yaakov", il più grave degli ultimi 14 anni. Quartiere che per i palestinesi si chiama invece "Yabi Yakoub", nella città vecchia colonizzata e "sequestrata" dal 1967 per fare dell’antico centro dei Gebusei la "capitale eterna dello Stato ebraico".

Non può essere semplicemente un caso se l’ennesima fiammata coincide col ritorno al potere (nel settembre scorso) di Benjamin Netanyahu, "Mèlek Israel", il "re", come amano definirlo i suoi sostenitori, visto il suo record di durata come premier.

Stavolta, pur di ridiventare premier, e tentare di bloccare i processi per corruzione che lo inseguono, "Bibi" si è alleato con il peggio dell’ultra-nazionalismo religioso, dell’umiliazione dei palestinesi occupati, della loro definitiva annessione sotto forma dei Bantustan sudafricani nel Sudafrica razzista: il leader di questa iper-destra è Itamar Ben-Gvir (ora responsabile della sicurezza nazionale), rivoltella sempre ben in vista alla cintura e nel salotto di casa la gigantografia del rabbino Kahane, che massacrò un gruppo di palestinesi sulla tomba dei Patriarchi a Hebron, e il cui partito era talmente impresentabile da essere stato messo fuori legge dalla stessa magistratura israeliana.

Qual è stata la prima iniziativa del neo ministro Ben-Gvir? Una passeggiata sulla esplosiva spianata delle Moschee, che fu la parte alta del secondo Tempio ebraico, e secondo lontani accordi assegnata all’amministrazione giordana: lo stesso gesto provocatorio fatto nel 2000 da Ariel Sharon, all’origine della Seconda Intifada, quella armata. Ora se ne teme una terza. Che potrebbe essere anche la peggiore.


‘Bibi nemico della democrazia’ (Keystone)

Quando due anni fa subì la sconfitta che sembrava senza ritorno, Netanyahu aveva obiettivamente perso l’ultima guerra con Hamas e si era lasciato alle spalle l’inedita rivolta araba e i violenti scontri intercomunitari nelle città miste dello Stato ebraico. Una cosa (con la complicità di Trump) gli era riuscita: indebolire al massimo, anche col rifiuto di una soluzione basata sui "due Stati", la leadership laico-palestinese di Abu Mazen, favorendo però l’incontrollabilità di diverse città palestinesi da parte della laica Fatah, nonché la crescita degli islamisti di Hamas anche in Cisgiordania. Ora colui che i nemici chiamano "l’incendiario" è di nuovo al comando. E così torna a girare la tragica ruota di quella antica tragedia troppo dimenticata, ma dalla inesausta memoria.