laR+ Il commento

Diocesi di Lugano, nel dopo Lazzeri la musica pare già cambiata

L’indicazione della via che seguirà l’amministratore apostolico monsignor Alain de Raemy è nella sua vicinanza alle persone e al territorio

In sintesi:
  • Il vescovo Lazzeri e la fatica dell'episcopato
  • Qualcuno ha parlato di un vescovo 'abbandonato' 
  • Il traghettatore ha spiegato di voler riempire un vuoto
L’addio di monsignor Valerio Lazzeri
(Ti-Press)
11 ottobre 2022
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Che non sia stata una decisione facile, quella delle dimissioni per il vescovo Valerio, lo abbiamo visto nel volto teso e per certi versi spaventato di monsignor Lazzeri nel momento in cui, in conferenza stampa, ha letto, fra il tremante e il teatrale, il messaggio scritto in occasione dell’annuncio ufficiale delle sue dimissioni dal governo pastorale della Diocesi di Lugano.

Un congedo che ha richiamato al perdono che l’ormai ex guida della Curia ticinese invoca da tutti. Peccato però non essere riuscito a farlo nei numerosi episodi che si sono succeduti nei suoi quasi nove anni di episcopato. Dall’improvvisa chiusura del Giornale del Popolo al sacerdote abusatore, dal parroco con il vizio di rubare al prete dal gomito facile. Una percepita mancanza di empatia che si è tradotta anche in scarsa comunicazione e condivisione con il proprio clero, più volte insofferente a interfacciarsi con un superiore poco propenso allo scambio e all’incontro.

Qualcuno, in questi giorni di ‘voci’ e indiscrezioni, ha parlato di un vescovo solo. Mal consigliato nel migliore dei casi, perché spesso, purtroppo, soprattutto non sostenuto, si dice nell’ambiente ecclesiastico, proprio dalle persone delle quali aveva scelto di circondarsi. Coloro, parliamo di tonache note in Ticino, che nove anni fa avevano mosso mari, monti, e qualche telefono (anche della nostra redazione) per sostenere la sua candidatura e che poi negli anni non hanno mostrato lo spessore, e la volontà, per affiancarlo nei delicati compiti quotidiani. E monsignor Lazzeri si è ritrovato così ad affondare fra compiti istituzionali e gestione amministrativa.

Uno sforzo e una continua tensione, come li ha lui stesso chiamati, che hanno finito per svuotarlo, per allontanarlo sempre più dal ruolo di padre e pastore della Chiesa ticinese. Così sempre meno la sua figura ha mantenuto un auspicato ruolo di primo piano nella società e nella comunità di laici e religiosi. Ha parlato per questo di insofferenza nell’"esercitare un’autorità", ma è probabilmente quello che sempre più chiedeva, e chiede, il mondo moderno, spaesato e spodestato nei veri valori. Ovvero una guida, è vero sostenuta per necessità con "strumenti giuridici e disciplinari", ma soprattutto forte e di polso, pronta a indicare la via, anche, e in particolar modo, quando questa si fa irta e sconquassata.

Monsignor Valerio ha finito inoltre per mostrare insofferenza verso chi è chiamato a fare domande e a ottenere risposte. Trincerato spesso dietro ‘no comment’, ‘c’è un’inchiesta’, ‘non è questo il momento’. "A volte – non ha mancato di farci sapere ancora ieri – quello che possiamo dire non è sempre la comunicazione che si vorrebbe ricevere". È vero, ma comunicazione deve comunque essere.

Con l’arrivo di Alain de Raemy la musica (parafrasando il motto di Lazzeri) pare però già cambiata. A cominciare dal "voler essere qui, nel senso più ampio che abbraccia tutta la Diocesi". Quel "sono qui in questa terra e voglio essere con voi fino in fondo alla valle più lontana. Da oggi vorrei imparare a conoscere tutte le nostre realtà. Sono qui per ascoltare, capire, aiutare a far risuonare un’armonia musicale dovuta proprio alla diversità degli strumenti". Non impedias musicam, non disturbare la musica. Ma non mancare mai di ascoltare anche i tuoi commensali, vicini o ‘lontani’ che siano.