Le vicende di cui il consigliere federale si è reso protagonista nel suo tempo libero si riverberano inevitabilmente sul piano politico
Siamo ai primi di luglio del 2021: passeggiata scolastica del Consiglio federale nel canton Vaud. A fare da anfitrione è il presidente della Confederazione Guy Parmelin: camicia viola e vestito scuro, occhiali neri, sul molo del porto di Nyon il vodese saluta qualcuno fuori campo; alle sue spalle, appena sbarcati, i colleghi di governo Simonetta Sommaruga, Ignazio Cassis, Karin Keller-Sutter e, forse (è nascosto dal braccio alzato di Parmelin), Ueli Maurer. Altra fotografia, scattata alla vigilia: i sette consiglieri federali – Guy Parmelin al centro, davanti a tutti – e il cancelliere della Confederazione posano sorridenti davanti alla Chartreuse de la Lance, a Concise. Sotto entrambi gli scatti, la stessa didascalia: "Il presidente della Confederazione Alain Berset guida il Consiglio federale nel Canton Vaud".
Alain Berset? Probabilmente il friburghese – nella seconda fotografia lo si vede mani in tasca, camicia fuori dai jeans, sorriso sornione, posa da dandy – sarebbe il primo a ironizzare sull’errore, ancora visibile sulle pagine in italiano del sito admin.ch dedicate all’annuale gita del Consiglio federale. Ma di questi tempi, l’involontario e innocuo furto di ruolo attribuitogli assume una connotazione diversa: ci ricorda quanto Berset sia diventato… ingombrante. Per l’uomo politico che è, e per il suo partito.
Dapprima il tentativo di ricatto di una sua ex amante e il rientro a Berna dalla Germania con la limousine di servizio, al termine di un weekend romantico; poi i suoi dati personali finiti sul darknet dopo aver effettuato investimenti in criptovalute; quindi la carcerazione preventiva del suo (ormai ex) più stretto collaboratore, sospettato di violazione del segreto d’ufficio in relazione al caso Crypto; infine, l’avventuroso volo oltre confine e in uno spazio aereo vietato a bordo di un monomotore, intercettato da due Rafale della polizia aerea francese. Elegante, charmant, sempre pronto a un selfie (è lui l’autore del primo selfie di gruppo del Consiglio federale, nel 2014), oratore brillante e poliglotta, il 50enne – ha scritto la ‘Nzz am Sonntag’ – "perde lentamente il controllo sulla sua immagine", controllo che è sempre stato "la sua grande forza".
Nessuna violazione delle regole, tantomeno delle leggi. E comunque troppo poco per chiedere le sue dimissioni, come alcuni pretendono. Considerare tutto questo una mera questione privata sarebbe però altrettanto sbagliato. Le sbandate di cui si è reso protagonista Alain Berset nel suo tempo libero – che ha tutto il diritto di gestire come meglio crede – si riverberano inevitabilmente sul piano politico. Ex enfant prodige del Partito socialista svizzero (è stato eletto a 32 anni al Consiglio degli Stati; a 39 in Consiglio federale, dove siede oramai da quasi 11 anni), apprezzato persino dagli avversari politici per il suo pragmatismo, tra i consiglieri federali più popolari (nonostante le critiche piovutegli addosso durante la pandemia), il ministro aviatore sta diventando un fardello per il suo partito. Un partito che tra l’altro si batte per ridurre l’uso dell’aereo a favore del treno, e che giocoforza si ritroverà presto a fare i conti con l’uscita di scena dei suoi due longevi consiglieri federali.
La votazione sulla riforma Avs e la pensione a 65 anni per le donne (fine settembre), l’ennesimo forte aumento dei premi di cassa malati (idem), l’elezione a presidente della Confederazione (dicembre), le votazioni federali (autunno 2023), col Ps che perde quota mentre Verdi e Verdi liberali mantengono la rotta ascendente: dopo il volo privato, l’atterraggio pubblico di Alain Berset rischia di essere brusco.