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Stelle, strisce e polvere da sparo

Gli Usa sono ostaggio della loro stessa autonarrazione: le stragi sono figlie di un modo di raccontarsi che deve cambiare quanto le leggi sulle armi

Robert De Niro in “Taxi Driver” (Wikimedia)
1 giugno 2022
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I filosofi tedeschi, che avevano un nome per tutto, lo chiamavano Volksgeist: è lo spirito di un popolo, di una nazione. Qualcosa che, come un fiume carsico, attraverserebbe sottopelle le generazioni garantendo continuità. Come se certi pregi e difetti fossero esclusivi o immutabili. La scusa perfetta per non cambiare mai. Questa esigenza di raccontarsi è anche un’arma a doppio taglio, carceriera e insieme prigioniera di un’autonarrazione pericolosa per sé stessi e per gli altri.

Gli Stati Uniti, non da oggi, sono ostaggio del proprio Volksgeist e di quell’immaginario legato alla "frontiera", che ha fatto l’America e disfatto gli americani. Dal secolo scorso in poi nessuno si è più autorappresentato di loro. Hanno elevato forme d’arte come il cinema con il solo scopo di descriversi, creare un’identità e poi rimandare quell’immagine di sé verso l’esterno, ingigantendola, amplificandola.

C’è un’innocua classifica Bbc dei 25 migliori film americani che ci dice molto degli Stati Uniti: in almeno la metà le armi sono protagoniste o decisive ai fini della sceneggiatura, in 20 su 25 ne compare almeno una. Che si veda un fucile ne "Il Padrino" o in "Sentieri selvaggi" non ci stupisce, anzi, ci stupiremmo del contrario. Ma una pistola fa capolino anche nella commedia "L’appartamento", in un musical come "Nashville" o in "Luci della città" di Charlie Chaplin. Le armi spuntano anche dove non te le aspetti, semplicemente perché fanno parte del contesto, come i lampioni, il caffè o le automobili.


Piccole croci per le vittime della strage di Uvalde (Keystone)

Alfred Hitchcock diceva che se vuoi fare un film di successo sulla Svizzera devi metterci le montagne e il cioccolato. È una questione di verosimiglianza: le renne stanno in Lapponia, i cammelli nel deserto, le armi negli Stati Uniti.

Ne "L’attimo fuggente", che è ambientato in un college del Vermont, e non è un western né un gangster movie, il giovane protagonista si toglie la vita con la pistola del padre, riposta in un comodino. Forrest Gump, che attraversa quasi inconsapevole il Novecento americano, si ritrova continuamente in mezzo alle armi, alle loro cause o alle loro conseguenze.

Nella classifica dei 25 film della Bbc c’è anche "Taxi Driver", un film del 1976 in cui il protagonista – interpretato da Robert De Niro – può incarnare ogni stragista venuto dopo di lui: è un uomo affetto da sindrome da stress post-traumatico, ha facilmente accesso alle armi, è spaventosamente solo. Un’enorme fetta d’America non ha mai smesso di specchiarsi rabbiosa come fa De Niro nel film, che urla a sé stesso e al mondo che lo ha rifiutato (e che lui, per primo, rifiuta): "Ehi, dici a me?"


Forrest Gump in Vietnam (Wikipedia)

Se la misura dei rapporti umani resta la rabbia repressa, trovare un’arma da rivolgere contro gli altri o contro di sé può sembrare la soluzione più semplice: polvere (da sparo) sei e polvere ritornerai. Semplice quanto idiota e disumano.

L’America deve togliere al più presto i fucili d’assalto dagli scaffali dei supermercati e limitare il potere della lobby delle armi? Certo. Ma altrettanto in fretta deve imparare a raccontarsi in un altro modo. Il Volksgeist non è un monolite e lo spirito di un popolo è in continuo movimento. L’America forse è già meglio di quel che crede di essere, ma non lo sa, non se n’è accorta, non avendo ancora trovato le parole per dirselo.


Un negozio di armi a New Castle, in Pennsylvania (Keystone)