Il 5 maggio del 1971 veniva ucciso il Procuratore capo di Palermo Pietro Scaglione, il primo ‘cadavere eccellente’
Il primo dei "cadaveri eccellenti", per usare il titolo di un film di Francesco Rosi, fu quello del Procuratore capo di Palermo Pietro Scaglione. Venne assassinato dalla mafia il 5 maggio del 1971 insieme all’agente di scorta, nei pressi del cimitero di Palermo, dove si recava ogni giorno sulla tomba della moglie. La sua colpa? Aver promosso delle inchieste sulla collusione tra politici e Cosa Nostra. Scaglione ebbe funerali di Stato, ai quali non parteciparono tuttavia né l’allora capo del Governo, Emilio Colombo, né il ministro dell’Interno Franco Restivo. Entrambi democristiani ed esponenti di spicco di quella prima repubblica che, oggi, molti danno l’impressione di rimpiangere.
Con Scaglione in Sicilia iniziò la mattanza di esponenti delle istituzioni, poliziotti, magistrati, ma anche politici e sindacalisti, culminata con le stragi costate la vita nel ’92 a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino. Tutta gente che sapeva di girare con una specie di bersaglio da tiro a segno disegnato sulla schiena e, ciononostante, non si sottraeva al proprio dovere. Uomini talmente convinti di essere destinati, prima o poi, a venire assassinati dai killer delle cosche, da arrivare in alcuni casi a rifiutare la scorta per evitare vittime inutili. È il caso esemplare di Gaetano Costa, pure lui Procuratore di Palermo, ucciso con tre colpi di pistola il 6 agosto del 1980 mentre si aggirava tutto solo tra bancarelle di libri. Qualche settimana prima aveva firmato la convalida degli arresti di 55 mafiosi coinvolti nell’attentato in cui venne assassinato un capitano dei carabinieri, Emanuele Basile. Basile che aveva ereditato un’inchiesta su un traffico di stupefacenti, tra gli Stati Uniti e la Sicilia, dal responsabile della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, abbattuto in un bar di Palermo nel luglio del ’79 mentre lavorava a stretto contatto con un agente infiltrato dell’Fbi. La sera prima di venire ucciso Giuliano, che aveva capito di avere i giorni contati, aveva allontanato moglie e figli da Palermo.
Gli anni 80, quelli durante i quali Falcone e Borsellino crearono le premesse per il maxiprocesso che finì per mettere in ginocchio la mafia, furono gli anni più duri per chi lottava senza risparmiarsi contro i mafiosi. Ai vertici delle cosche erano infatti arrivati i ferocissimi corleonesi, Totò Riina e Bernardo Provenzano. Caddero il Generale Dalla Chiesa, nominato Prefetto ma privo di poteri, il capo dell’ufficio istruzione di Palermo Rocco Chinnici, il Procuratore di Trapani Giangiacomo Ciaccio Montalto, i commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà, il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale presidente della Repubblica, l’esponente comunista e sindacalista Pio La Torre. Morirono anche tanti mafiosi, letteralmente sterminati dai corleonesi. Si salvò Tommaso Buscetta, un narcotrafficante scovato in Brasile da Giovanni Falcone, che lo convinse a rivelargli i segreti di Cosa Nostra. Da quel momento Falcone e Borsellino inflissero colpi durissimi ai corleonesi. A prezzo della vita, che persero nei sanguinari attentati di 30 anni fa. La loro tragica epopea è raccontata in un bel libro di Roberto Saviano, edito da Bompiani e dal titolo eloquente: ‘Solo è il coraggio’.