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Macron vince, ma la partita è ancora aperta

Il risultato del presidente uscente fa tirare un sospiro di sollievo, il ‘barrage’ dovrebbe tenere ma il doppio turno lascia margini d’incertezza

Una vittoria. Per ora
(Keystone)
11 aprile 2022
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Non c’è stato il temuto pareggio, non c’è stato il brivido pronosticato dagli ultimissimi sondaggi per il primo turno delle presidenziali francesi. Ed è un sollievo. Emmanuel Macron stacca di cinque punti Marine Le Pen. Probabilmente un biglietto per potersi confermare presidente. Certo, il ballottaggio del 24 aprile rimane aperto, dipenderà dalle scelte degli elettori che ieri non si sono affidati ai due duellanti finali. Si vedrà se la signora dell’estrema destra potrà rovesciare la situazione o se non riuscirà a evitare una sconfitta che le toglierebbe ogni altra futura ambizione presidenziale.

Una campagna anomala

Una campagna elettorale anomala, stanca, di dolente apatia, che un sondaggista aveva per questo definito ‘Tefal’ (dal nome di una pentola antiaderente) ha così riproposto lo scenario di cinque anni fa, e forse lo stesso esito. Fu proprio Macron, con la sua vittoria nella primavera 2017, a terremotare il paesaggio politico francese, a far esplodere il bipartitismo, pescando suffragi soprattutto nei due partiti storici che si erano alternati al potere per oltre sessant’anni, eredi del generale De Gaulle e di Mitterrand, destra moderata e socialisti; che ora confermano il rispettivo declino, la loro marginalizzazione.

Cinque anni pieni di insidie

L’inquilino dell’Eliseo ha attraversato un quinquennio ricco di insidie, dovute anche a un temperamento che non ha mai saputo scaldare i cuori: arrogante, troppo sicuro di sé, ‘presidente dei ricchi’ per le sue riforme fiscali, deciso a procedere con riforme non popolari, soprattutto quella della riforma del pensionamento da portare da 62 a 65 anni. Il bilancio non è stato comunque negativo, anche in termini economici. Ma, soprattutto, Macron ha beneficiato prima di una gestione abbastanza condivisa dell’emergenza sanitaria, poi della sua immagine di statista impegnato nella tragica crisi ucraina, imponendosi come il più attivo e credibile fra i leader europei che hanno tentato l’impossibile dialogo con Putin. Basterà?

Il neo-zar, che ha voluto una guerra carica di drammatiche conseguenze anche per l’economia internazionale, era il convitato di pietra del voto, imbarazzante per chi lo aveva tanto elogiato e corteggiato, come nel caso di Le Pen, che dopo essersi fatta finanziare da una banca russa la precedente campagna elettorale, stavolta si era rivolta a una banca d’Ungheria, il paese di Viktor Orban, l’illiberale d’Ovest più vicino al Cremlino. La leader del Rassemblement National, ex Fronte nazionale, ne ha pagato il prezzo, anche se in misura minore del previsto.

Zemmour ha reso ‘accettabile’ Le Pen

Non ha perso il suo elettorato operaio, ha coltivato il trittico ‘islam-immigrazione-sicurezza’, ha insistito sul mantra del ‘potere d’acquisto’, principale preoccupazione dei francesi oggi. Ha migliorato il suo risultato, continuando nell’opera di ‘dédiabolisation’ del partito fondato dal padre, e approfittando di un concorrente come Zemmour, lo xenofobo e manipolatore della storia, così estremo da aiutarla nella costruzione della sua nuova immagine di candidata ‘accettabile’. Ma è difficile che il recupero dei voti di Zemmour e di altri schieramenti sconfitti ieri possano aprire a Le Pen la porta dell’Eliseo.

La ‘disciplina repubblicana’ dovrebbe reggere anche stavolta

Soprattutto, dalle prime reazioni, da Mélenchon (sinistra radicale, ottimo 20%) a Pécresse (che lascia i post gollisti prigionieri della palude degli ultimi anni), sembra che Macron potrà ancora beneficiare della cosiddetta ‘discipline républicaine’, che sbarra la strada all’estrema destra razzista, sovranista, autoritaria e anti Ue. Tira dunque un provvisorio sospiro di sollievo anche l’Europa. Ma la regola del doppio turno lascia margini di incertezza: meglio continuare a incrociare le dita.