Il popolo ucraino soffre sotto le bombe, l’Occidente risponde con lamentele per il caro benzina. In prima linea per la pace: la nostra, mica la loro
"Sono ormai più di mezzo miliardo le bandiere ucraine sui profili social di tutto il mondo. Putin, messo all’angolo, si arrende e ritira le truppe". Se è questo l’annuncio che i pacifisti duri e puri si aspettano, si armino di tanta pazienza, almeno di quella.
Perché la vicinanza a distanza sarà anche bella, ma è fragile. E così, mentre Putin bombarda bambini e manda i suoi ai negoziati con l’ordine di non negoziare, c’è chi si ostina a fare distinguo e mettere paletti ovunque: no all’intervento Nato, no alla no-fly zone, no alle armi agli ucraini, no alle sanzioni. E quindi? Come la vogliamo risolvere questa guerra? A pari e dispari? A morra cinese? Con una partita a Fifa?
Abbiamo criticato le grandi multinazionali che tenevano un piede, o entrambi, in casa del nemico. Se ne stanno andando tutte o quasi. Ci siamo indignati contro la loro ipocrisia dimenticandoci della nostra. Trasformati in tanti iceberg che fanno galleggiare oltre la superficie solo la parte presentabile dei nostri interessi. Stando bene attenti a lasciare sommerso quel groviglio fatto di vigliaccherie, egoismi e inconfessabili cattivi pensieri: non ci piace farlo vedere agli altri, ancor meno rivelarlo a noi stessi.
Manifestazione contro Putin (Keystone)
In quegli interstizi si trovano le radici del pacifismo intransigente, romantico e ingenuo da scuola elementare che imperversa un po’ ovunque, dai social ai dibattiti tv: c’è sempre qualcuno pronto a propinarci questo pensiero magico che è doveroso insegnare ai nostri figli, ma altrettanto doveroso dimenticare tornati nel mondo degli adulti, quello in cui – ahinoi – ci tocca vivere e non sempre "andrà tutto bene".
Un pacifismo da fumetto edulcorato che stona con le immagini che arrivano dall’Ucraina, una risposta preconfezionata da reginetta dei concorsi di bellezza che mal si concilia con le domande che siamo costretti a farci.
Sono i pacifisti a oltranza, quelli "senza se e senza ma". E senza un sacco di altre cose, tipo l’altruismo, l’empatia. Sventolano la loro pur nobile bandiera ignorando fatti e sofferenze altrui: dicono "mettete i fiori nei vostri cannoni" e poi con il loro carro armato arcobaleno di frasi fatte travolgono tutto e tutti: ucraini compresi, che si ostinano a combattere, quando tutto quel che i pacifisti d’Occidente vogliono è la pace: qua. E una resa là, senza tenere conto che c’è un’invasione, e che in Ucraina la gente perde quotidianamente affetti, averi, speranze, case e presto, forse, anche il proprio Paese così come l’avevano conosciuto.
Dai salotti a migliaia di chilometri dalle bombe, si invoca la pace come fosse un deus ex machina, qualcuno con l’aureola o il mantello da supereroe che arriva e dice "stop". Come se non ci fossero i russi con cui fare i conti.
Sfollati a Bucha, nei dintorni di Kiev (Keystone)
In uno dei tanti dibattiti tv si è visto un professore italiano spiegare a un ucraino collegato da un rifugio che il solo modo di uscirne era consegnare l’Ucraina a Putin. A nulla sono valse le obiezioni dell’oppresso ("Non hanno ancora vinto, c’è la resistenza, vogliamo la libertà, proprio come voi"). L’interlocutore occidentale, spazientito, ha alzato i toni: "Se lei vuole la guerra, io voglio la pace". Lo ha detto comodamente da casa sua, dove la guerra è un’idea, qualcosa che si vede in tv come una partita di calcio e che si può mettere in pausa o spegnere con il telecomando.
A tanti piaceva la valorosa resistenza ucraina finché richiedeva solo un po’ di comprensione. Quando hanno iniziato a chiederci armi e un conto salato dal benzinaio, quella resistenza è diventata un impiccio, il fiero Zelensky un fanatico egoista: lui. Il tutto, ovviamente, nel nome della pace. O del lasciarci in pace?