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Malsana ansia da primo posto

Le sfide tra Svizzera e Italia non sono e non saranno mai banali e la trepidazione è a livelli di guardia

12 novembre 2021
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Sul piano del fascino, basta scrivere Italia-Svizzera per fare schizzare l’interesse e creare quell’ansia da grande evento che in fondo è il sale dello sport. L’attesa della partita, del resto, sa essere più febbrile che le emozioni sgorganti dal suo stesso svolgimento, spesso al di sotto delle attese, e non solo per il risultato.

Sul piano tecnico la contesa di Roma si presenta aperta. Difficile sbilanciarsi, se non indicando gli Azzurri quali favoriti, vuoi per il fattore Olimpico, vuoi perché sono i campioni d’Europa in carica, pur in leggera difficoltà sul piano del rendimento. Prova ne sia che hanno vinto soltanto due delle ultime cinque partite disputate dopo l’Europeo della consacrazione continentale.

La trepidazione è ai livelli di guardia, giacché Azzurri contro rossocrociati non è né sarà mai banale. Il pronostico non è scontato perché la Svizzera sa pungere di tanto in tanto, così come l’Italia non brilla sempre come nelle notti londinesi.

Ecco quindi aprirsi un piano interessante, sul quale muovere le pedine nel tentativo di farlo proprio, questo duello così sentito: la psicologia. È pur sempre calcio, ignorante e popolare, ragion per cui non si tratta di spulciare negli insegnamenti di Freud per ricavarne chissà quale alchimia applicabile allo sport di squadra. Tuttavia, a casa Italia un trauma c’è stato, recente e soprattutto doloroso. La Svizzera, da questo punto di vista, parrebbe aver meno da perdere, di solito è un vantaggio.

È di pochi anni fa la disavventura della Nazionale targata Ventura, il ct della disfatta dello spareggio contro la Svezia che privò gli Azzurri, abbonati ai grandi tornei nei quali non disdegnano occupare i primi posti (quattro titoli mondiali non si vincono per caso) della Coppa del mondo 2018. Una sorta di gogna sportiva, una ferita profonda al cuore. Un insulto alla storia di una squadra che ha ricucito lo squarcio (anche quello all’orgoglio, che era profondo e particolarmente doloroso) con il titolo europeo figlio di un ct diverso (mossa doverosa), di un calcio diverso, di un approccio alla disciplina culturalmente diverso.

Ora, che gli Azzurri si siano rifatti con gli interessi salendo sul tetto d’Europa tre anni dopo essere stati respinti come una squadretta dalla Coppa del mondo la cui storia hanno contribuito a scrivere, è un dato di fatto. Dici Svezia, però, e inevitabilmente qualche fantasma riemerge dal baule dei ricordi nel quale era stato rinchiuso. Non che l’Italia affronti la Svizzera con l’ansia da prestazione di chi non ha prove d’appello alle quali affidarsi, tuttavia un po’ di pressione il ruolo di favorita, le tante defezioni illustri in casa elvetica nonché l’obbligo di vincere il girone per centrare la qualificazione diretta, devono pur causarla.

Già, perché l’ipotesi di un secondo posto significherebbe spareggio, anzi due spareggi, da vincere: due gare secche contro avversarie da definire. Secche, appunto, senza appello. Formula inedita per gli spareggi, solitamente andata e ritorno. Uno scenario che spaventa la Svizzera che ambisce a chiudere in testa per non doversi misurare in un’appendice con troppe incognite e non poche difficoltà di ordine tecnico. Un’opzione che inquieta l’Italia. Forte del titolo europeo e di una consapevolezza ritrovata, ma non per questo disposta a misurare il proprio valore oltre la scadenza di lunedì a Belfast.