Il suo partito ha perso forza, ma si impone comunque alle legislative tra abitudine, paura, pressioni e accuse di brogli
Niente di nuovo dal fronte orientale. Le legislative russe non hanno fatto registrare sorprese, se non la conferma di un corso preoccupante.
Erano due i nodi principali da sciogliere. Il primo: Russia Unita, il partito del Cremlino, sarebbe riuscita a conservare la maggioranza assoluta alla Duma federale? Il secondo: quale distanza esiste tra un presidente popolare fra la gente, come almeno affermano i sondaggi, e una formazione in crisi, dopo la disastrosa riforma delle pensioni del 2018? La tornata elettorale ha fornito indicazioni chiare. Seppur in assenza di veri candidati, oppositori del Cremlino, Russia Unita ha perso quasi il 5% dei voti al proporzionale.
Il che significa che il brand non tira più, come hanno dimostrato anche le sconfitte a livello locale. Solo ingegnose alchimie politiche e il minuzioso controllo dell’informazione hanno mantenuto Russia Unita in piedi. Ma onde evitare scivolate rovinose erano già comparse sulla scena politica compagini (invero filo-potere) in grado di raccogliere la richiesta di cambiamento.
Al voto in un seggio di Mosca (Keystone)
Russia Unita ha conservato la maggioranza assoluta alla Duma solo grazie al voto dell’uninominale. Qui i suoi candidati erano quelli da battere, poiché sostenuti con le cosiddette “risorse amministrative”, ossia con il voto degli statali e dei militari, recatisi alle urne in massa venerdì mattina. La stampa regionale, come ha evidenziato Radio Eco di Mosca, ha pubblicato denunce di costrizioni.
La distanza di popolarità tra Putin e Russia Unita appare oggi ancora maggiore di quanto sembrasse prima delle legislative. Il presidente è indicato stabilmente ben oltre il 50% delle preferenze anche nei periodi di crisi. Secondo le opposizioni, che gridano ora ai brogli, Russia Unita non va oltre il 27-29% delle simpatie nella società.
L’assenza di osservatori internazionali (per la prima volta dal ‘93), le difficoltà sorte nel lavoro dei rappresentanti di lista, l’immensità geografica di un gigante disteso su 11 fusi orari non permettono altro che registrare le dichiarazioni delle parti. Ma lascia stupiti che la presidente della Commissione elettorale abbia avuto da ridire persino sugli osservatori del Pc, la forza più radicata sul territorio, per l’eccessiva intraprendenza mostrata.
Uno scrutatore con le schede per il voto a Omsk (Keystone)
Interessante è stato l’esito del voto a distanza. In tutte le regioni ha stravinto Russia Unita. I dati di Mosca – 2 milioni di capitolini hanno utilizzato questa opzione – non sono stati resi pubblici per ore. “Il potere ha imparato a usare Internet”, è il commento disgustato della ‘Novaya Gazeta’, foglio della dissidenza. “Conseguenze tragiche” per questo risultato, prevedono le opposizioni. Nel precedente quinquennio la Costituzione è stata riformata e sono stati azzerati i mandati presidenziali di Putin, che potrà ricandidarsi nel 2024. Continuerà così la parabola dell’uomo solo al comando, con tutto il sistema pronto ad approvare le sue scelte.
Si spera solo, finite le elezioni, che termini l’imperante clima da sindrome da accerchiamento, attizzato dalla propaganda nazional-patriottica. Negli ultimi tempi il dissenso ha avuto problemi di ogni tipo tra organizzazioni dichiarate “indesiderate” e giornalisti “agenti stranieri”. Davvero non una bella aria tira a Est.