Il 26 settembre si terranno le elezioni in Germania: dopo 16 anni Angela Merkel non ci sarà, ma nessuno dei suoi potenziali successori convince i tedeschi
Se le elezioni politiche in Germania non sono mai soltanto tedesche, ma riguardano un intero continente, cosa ci dice la consultazione del prossimo 26 settembre? Come minimo che l’Europa difetta di leadership. D’accordo, congedarsi da Angela Merkel, che annunciò la volontà di pensionarsi già nel 2018, dopo una rovinosa sconfitta in Assia, congedarsi da “Mutti” e dai 16 anni del suo potere non è proprio un passaggio semplice e scontato. Lo ricorda anche un sommario bilancio del suo ‘regno’.
Bilancio in cui c’è di tutto: la cancelliera per lo più apprezzata ma anche detestata; simbolo della concretezza pragmatica ma anche di un turbocapitalismo senz’anima che non si capisce quanto condividesse; portavoce del rigore finanziario rigidamente applicato alla Grecia ma poi anche motore del riposizionamento europeo in favore di una spesa pubblica condivisa e imposta dalle devastazioni economiche della crisi sanitaria; una leader persuasiva nel negoziare la Grosse Koalition con lo storico rivale socialdemocratico ma poi in grado di ‘cannibalizzare’ l’Spd; capace anche di bacchettare quelli del suo schieramento tentati dalle sirene populiste dell’Afd.
Merkel, Laschet e Baerbock (Keystone)
È la donna che fece piangere una piccola profuga palestinese davanti alle telecamere, spiegandole che non tutti gli immigrati potevano rimanere nel suo Paese e che subito dopo aprì le porte a quasi un milione di disperati fuggiti dalla guerra in Siria, un coraggio prima pagato elettoralmente, ma che oggi presenta un positivo bilancio di integrazione e di manodopera a buon mercato. Quindi approdata a un programma di denuclearizzazione ambientalista che ha fatto scuola. Infine la Merkel che pesca nelle sue competenze scientifiche che la rendono assai più credibile dei suoi colleghi nella strategia anti-Covid.
Sta di fatto che la Kanzlerin ha segnato un’era che, per densità di decisioni e intensità di eventi storici, sembra andare ben oltre i tre lustri del suo governo. È forse anche per questo che le figure che oggi se ne contendono la successione sembrano troppo sbiadite, non all’altezza. L’Armin Laschet, erede designato ma non amato nemmeno dalla Merkel, bonario e buon governatore Cdu del Nord Reno Westfalia, ‘irremovibilmente vago’ nel parlare di tutto senza dir nulla di preciso, che rischia di essere sepolto da una risata, la propria, immortalata da una sua foto scattata sulle macerie dell’inondazione più catastrofica e mortale del secolo per la sua nazione. Oppure l’Olaf Scholz, ministro delle Finanze, socialdemocratico di vecchia scuola senza un briciolo di carisma. O ancora Annalena Baerbock, la verde favoritissima al debutto della campagna scivolata malamente su presunti plagi e aggiustamenti della sua biografia, per cui non si capisce se la tragica conferma dei cambiamenti climatici che hanno flagellato il Paese le potrà dare una spinta decisiva.
Annalena Baerbock (Keystone)
Così che i sondaggi – che finalmente non segnalano risultati a due cifre dell’estrema destra nazionalista e anti-immigrazione – registrano a sei settimane dal voto un’istantanea che colpisce: un andamento borsistico delle reciproche fortune, ma anche quella di un sorprendente 45 per cento ancora poco propenso a scegliere uno dei candidati. Dunque, la Germania paradigma della stabilità politica diventata teatro di ondivaghi stati d’animo, di inabituali incertezze, di possibili inedite future alleanze di governo federale. Una Germania più ‘normale’? L’Europa, e non solo, capirà presto se e quanto le mancherà Frau Angela.