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In fila per un pasto gratuito

La precarietà che sembra sfuggire alle statistiche ufficiali, essere poveri lavorando in un mercato con sempre meno buoni posti di lavoro

La povertà che non si vede (Depositphotos)
23 agosto 2021
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Anita, ex bibliotecaria, è rimasta senza lavoro durante la pandemia. Per mesi, lei e i suoi figli hanno mangiato grazie al ‘take away’ gratuito organizzato da Casa Martini a Locarno. In fila con lei, altre donne sole con figli: un’estetista 50enne, anche lei rimasta senza stipendio a causa delle limitazioni anti Covid e un’altra donna trentenne con un bimbo piccolo in braccio, che a inizio pandemia aveva appena avviato un’attività e si è ritrovata velocemente con troppe fatture scoperte. Si arriva a un punto che non sai se pagare la cassa malati, l’affitto o far la spesa. Queste donne sono tutte mamme sole e lavoratrici straniere residenti in Ticino. Non vogliono chiedere gli aiuti statali, cui avrebbero diritto. Temono di non vedersi rinnovare il permesso di residenza. Allora si stringe i denti per superare un momento difficile.

Questo è un volto della nuova precarietà che abbiamo fotografato in fila alle mense sociali dei due centri di accoglienza, Casa Martini a Locarno e Centro Bethlehem a Lugano, dove lo scorso anno sono stati distribuiti 12mila pasti gratuiti. Per avere un quadro più completo, vanno aggiunte altre 2’016 persone in difficoltà che ogni settimana in Ticino ricevono la spesa da Tavolino Magico. Un quadro finale poco rallegrante. Che cosa metterebbero in tavola da mangiare queste famiglie senza queste associazioni caritatevoli?

Gli indizi di una precarietà che avanza ci sono tutti, si sente arrivare uno tsunami economico e sociale che fa paura. Gli operatori sociali che gestiscono questi centri di prima accoglienza stanno aiutando anche chi un’occupazione ce l’ha, ma non campa con lo stipendio del lavoro ridotto. L’occupazione precaria, che la crisi sta peggiorando, è un grosso problema in questo cantone. Essere poveri pur lavorando in un mercato che garantisce sempre meno buoni posti di lavoro (spesso saltuari e su chiamata) ma anche salari molto bassi.

Il Ticino è entrato in questa pandemia con numerose criticità che però erano contenute, perché lo stato sociale, malgrado reiterati interventi di limatura, è rimasto solido e perché negli ultimi anni il mercato è stato fortemente femminilizzato. Ora gran parte di questi tempi parziali occupati da donne sono spariti, almeno temporaneamente, e molti indipendenti, a causa delle misure antipandemia, sono scivolati in situazioni di povertà, tamponate da varie associazioni caritatevoli. Come un piccolo imprenditore ticinese, che pur di pagare i salari ai suoi dipendenti ha lasciato indietro la propria cassa malati, accumulando mesi e mesi di arretrati. Grazie alla Fondazione Francesco, che ha pagato le sue fatture in sospeso, l’uomo si è rimesso in pari. Così lo scorso anno molte associazioni (da Caritas a Croce Rossa) hanno distribuito in Ticino oltre 3 milioni di franchi di aiuti.  

Questa precarietà sembra sfuggire alle statistiche ufficiali. Sappiamo che nel 2020 sono stati persi 4mila posti di lavoro in Ticino (gran parte occupati da donne), che non si traducono in un boom di disoccupati sia grazie all’effetto stabilizzante dei dispositivi anticrisi (lavoro ridotto, indennità di perdita di guadagno, crediti agevolati e aiuti diretti a fondo perso a piccole-medie imprese) sia per il ricorso ai risparmi per non scivolare in assistenza.

Che cosa succederà quando gli aiuti statali anticrisi saranno esauriti è la domanda che tutti si pongono.

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